Una sera di fine ottobre, un sabato di festa che non può essere adeguatamente celebrato causa coprifuoco, che già a scriverlo pare assurdo, figuriamoci a viverlo. Tutti in casa, chi con congiunti conviventi, chi senza, chi di fronte alla TV piuttosto che impegnato in una buona lettura, soluzione che suggerisco sempre come primaria. Ma tutti, o quasi, con un occhio fugace a controllare le notifiche sul social preferito, a volte unico come nel mio caso, Twitter. Fatti salvi alcuni contenuti interessanti che scorro sulla mia pagina, ecco che parte il solito carrozzone di retweet a sfondo simil-erotico che sembra ormai farla da padrone. E, attenzione: ogni riferimento a persone e fatti realmente esistenti è assolutamente voluto. Si va dal selfie in cui la signorina di turno chiede se gli occhiali nuovi le donino, peccato che il primo piano sia sul decolleté che nulla lascia all’immaginazione, al tweet filosofico esistenzialista dove la fotografia di un paio di gambe in reggicalze è accompagnata da citazione dotta di ordinanza che termina con una cosa del tipo “buonanotte anime belle”, che consiglio di leggere a chi ha problemi di stitichezza. In entrambi i casi lo spazio lasciato all’immaginazione è davvero risicato. Prima osservazione ovvia: la fantasia su Twitter non è di casa. Seconda osservazione meno ovvia ma quanto mai attuale: tira più un pelo di figa che un carro di buoi. Si può dire? Ormai l’ho detto, non amo essere scurrile ma dare parole alle cose per quello che sono è di certo molto più efficace e permette una riflessione su un fenomeno che riguarda tutti. Per cui chiedo venia, passatemi questa licenza poetica (su Twitter verrebbe spacciata per tale) e sentite cosa ho deciso di fare quel sabato sera.
Cellulare alla mano, mi posiziono per un selfie da Tweestar che possa essere sincera parodia della bellona super sexy che ammicca alla fotocamera. Solo che io non sono né una Tweestar né una bellona super sexy, eppure faccio il botto con una foto provocante il giusto, lo sguardo, in realtà un po’ di sghimbescio, verso l’obiettivo come a dire “guardami”, una maglia un po’ più scollata, che vi confesso è quella del pigiama, e poi il tocco da maestro, un dito maliziosamente portato alle labbra a suggerire qualcosa tipo “prendimi”. Ora, mentre lo scrivo e guardo la foto che vedete anche voi mi scappa da ridere, ma ovviamente non è finita qui, perché se è per farla bene devo aggiungere quei 280 caratteri di accompagnamento in cui sottolineo lo scopo ironico del tweet e invito a focalizzarsi sulle tette in vista, ma i caratteri finiscono e non posso aggiungere la dotta citazione. Insomma, non so proprio fare la Tweestar, rileggo il tweet e sorridendo premo invio. Ora, io non ho moltissime persone che mi seguono, ma ho un profilo con diversi contatti, scrivo pensieri e riflessioni, condivido spesso il mio sentire, scrivo di libri e di altri argomenti che suscitano il mio interesse, interagendo con i follower a volte scherzosamente, a volte in modo più serio. Insomma, ho un profilo pacato, direi, sobrio e mai volgare, con qualche deviazione più trasgressiva, ma sempre nei limiti del rispetto, con quell’ironia che credo mi contraddistingua e che in questo tweet la fa da padrone nella presa in giro palese di certi profili sopra descritti. Fatto sta che questo che mi ha impegnato in tutto, a dir tanto, cinque minuti, tre di pensiero e scrittura e due tra scatto della foto e pubblicazione, è stato il tweet con più interazioni che abbia mai avuto, circa 3000, 102 cuori di apprezzamento, 32 risposte e almeno una decina di nuovi follower, indovinate un po’, soprattutto uomini.
Possiamo raccontarcela finché vogliamo, i social vanno utilizzati e capiti perché sono uno specchio fedele della realtà, non uno specchio deformante, siamo noi ad essere deformati e in tal modo ci riflettiamo. Il social non fa che da cassa di risonanza a tutto ciò che forse non abbiamo mai avuto la voglia o la capacità di manifestare, perché stimola la nostra parte oscura, che qui si sente libera di esprimersi poiché protetta da uno schermo. Quello che è iniziato come un gioco si è così trasformato in un’interessante occasione di lettura del nostro modo di essere nel mondo social, dove emergiamo come esseri semplici, liquidi, per dirla con Bauman, privi di una forma definita e definibile. I liquidi, infatti, non hanno forma e assumono quella dei recipienti che li contengono, pena il disperdersi nel nulla. Ecco che il Social Network diventa questo contenitore che conferisce forma creando l’illusione di avere anche una sostanza, che seppur virtuale, è consistenza percepita di un’identità mobile. E più mancano i punti di riferimento, meno è possibile distinguere tra giusto e sbagliato, l’individualismo impera e ciò che conta è l’apparire ad ogni costo, l’esserci senza contenuto.
Ciò che ha valore è la presenza in vetrina (e chi non sta pensando alle prostitute ad Amsterdam?) e solo il cuore o il mi piace conferisce esistenza perché veniamo valutati in base alla visibilità. Che se ne parli bene o se ne parli male, l’importante è che se ne parli. E quanto solletica di più e fa parlare del sesso? Anche se quello che fa capolino nei tweet magari fosse sesso ed erotismo, quello è parte di noi, è la nostra natura, un bisogno fisiologico, un’esperienza che ha l’obiettivo di gratificare, di far stare bene. No, quello che traspare da immagini e parole è un’offerta ingenua e incosciente di sé, al punto che alcuni hanno considerato quel tweet una richiesta esplicita di contatto sessuale. Altri, più raffinati, mi hanno suggerito che inconsciamente stessi cercando proprio quello (e che fate, mi rubate il mestiere?).
Pochi hanno saputo ridere con me e di me. Ma alla fine una cosa l’ho capita: il segreto sta nelle tette e le donne lo sanno bene, eccome se lo sanno.
Ti è piaciuto questo articolo? Offrici un caffè con Ko-Fi
Segui il moscone su Telegram per ricevere una notifica ogni volta che viene pubblicato un nuovo articolo https://t.me/ilmoscone