Cinque domande sul deposito nazionale di rifiuti radioattivi

Sono stato sollecitato a affrontare il tema del deposito dei rifiuti radiottivi ed ho  approfondito l’argomento.

Non ho alcuna preparazione tecnica specifica (chiedo indulgenza se le mie definizioni non saranno tecnicamente ineccepibili), non ho ruoli pubblici e politici e quindi posso spaziare liberamente nei dubbi che deve avere ogni cittadino chiamato ad affrontare un tema come questo che inevitabilmente lo riguarda. Quindi sono partito da una serie di domande.

Di che si tratta? Serve veramente? Perhè qui da noi? Quale impatto ambientale provocherà?  Quali ricadute economiche produrrà?

Ho attinto ai numerosi articoli di giornali e alle fonti ufficiali Sogin: la struttura pubblica che su incarico del governo dovrebbe realizzare l’opera.

Di che si tratta?

Il deposito occuperebbe circa 140 ettari, gran parte destinati ad aree di rispetto. Una ventina di ettari sarebbero occupati da costruzioni in cemento a forma cubitale (capannoni) in cui si depositeranno i rifiuti radioattivi. Allego questo link che penso lo spieghi meglio di quanto possa fare io.  

Vi saranno stoccati 95.000 mc di rifiuti in 40 anni. Circa la metà già esistenti e gli altri  prodotti in futuro. Si tratta di materiali provenienti dallo smantellamento o dalle manutenzioni di centrali nucleari ma anche da materiale medico/ospedaliero e industriale. Cose che per curarci e per lavorare continueremo a produrre. I carburanti delle centrali nucleari non arriveranno al deposito ma inviati  a imprese, soprattutto in Inghilterra, che li “riciclano”. Dei 95.000 mc 78.000 sono definiti a bassa intensità , gli altri ad alta e media intensità. I primi deperiscono in 300 anni i secondi in 1000. Distinzione che non mi ha appassionato perché anche per il periodo più breve è molto probabile che non sarò lì  per  verificane l’esattezza. Del resto non mi pongo il problema di quanto vive un vulcano o una vena sotterranea di amianto, semmai mi preoccupa come posso prevenirne gli effetti negativi.

Serve veramente?

Attualmente questi rifiuti sono sparsi qua e là, in depositi inadeguati e comunque non raffinati tecnicamente come quello in progetto. Mi sono infatti chiesto perché non fare il deposito a Trino, il cui ambiente sembra più recettivo, o nella stesse aree della  FM di Bosco Marenco, dove  vi sono già dei residui. Ho scoperto che proprio la rigidità dei requisiti necessari per garantire l’assoluta sicurezza li esclude.
Insomma sembra che vi sia maggior pericolo oggi che con una struttura moderna appositamente costruita.

Perché qui da noi?

Non è detto che si faccia qui. I siti potenziali sono una cinquantina, ma molti elementi inducono a pensare che l’area più idonea sia  la nostra. E’ proprio sulla base dei  requisiti rigidissimi imposti dalle norme  che  questo sito sarebbe  particolarmente sicuro. Comunque dovranno essere resi noti e messi in discussione pubblicamente. Per le nostre comunità si tratta di una” scocciatura “ e preferiremmo che ricadesse su altri territori, perchè partiamo dalla convinzione che sia un’opera pericolosa e comunque dannosa. Ma se così non fosse? Se si trattasse di una fabbrica metalmeccanica saremmo così allarmati?

Quale impatto ambientale provoca?

Qui mi tocca a tirare in ballo dei dettagli tecnici che mi espongono al rischio di strafalcioni. Il lettore sia indulgente  e cerchi di cogliere la sostanza. Come per le polveri sottili la legge stabilisce dei limiti di pericolosità, ciò avviene anche per la radioattività. In questo caso il limite consentito è  1 millisievert/anno, unità di misura specifica. Non sarei in grado di spiegarne il dettaglio tecnico, ma posso usarlo come termine di paragone. L’Italia ha la normativa tra le più restrittive al mondo. Per questi depositi il limite previsto è di 0,01 millisievert/anno. Per capirci una tac ci espone a 1,5/3 millisievert ogni volta. Soltanto mangiando assimiliamo 0,2 circa millisievert/anno: 20 vote il limite stabilito per le sostanze radioattive stoccate.
Il loro trasporto non provocherà un grande traffico. Diluito in 40 anni si può ipotizzare che avremo mediamente 3 autocarri al giorno. Ma si dice che trattandosi di mezzi speciali si potrebbe  effettuare un solo viaggio al giorno.
Certo una fetta importante di territorio fertile verrà consumato. Non è un problema irrilevante. Mi chiedo se analoghe operazioni non possano essere realizzate in uno dei tanti siti industriali dismessi. Ma  questo penso debba far parte de confronto tra politica e scienza?

Quali ricadute economiche ci porterebbe?

Tratto per ultimo questo aspetto perché ritengo che venga dopo. Dopo le valutazioni che riguardano la salute, il territorio, l’ambiente. Problematiche che non possono essere mercificate.
Si parla di 900 milioni di investimenti, 4000 addetti per la costruzione che se iniziasse nel 25 finirebbe nel 29,30. Occuperebbe poi dai 300 ai 770 addetti per i restanti 40 anni. Al suo interno vi sarebbe un parco tecnologico che oltre a sviluppare le attività inerenti il deposito, potrebbe cimentarsi in sperimentazioni e progetti innovativi proprio nel campo dell’agricoltura e dell’alimentazione. Potrebbe affrontare la ricerca per il risanamento di zone altamente inquinare e altamente pericolose come il quella di Ecolibarna a Serravalle, che rappresenta davvero una costante minaccia per le falde acquifere.

I territori  avrebbero diritto ad un indennizzo  iniziale di una quindicina di milioni ed è ipotizzabile anche qualche decina di milioni annui con cui sviluppare opere ambientali  che compenserebbero ampiamente l’impatto del deposito.

In conclusione mi sono fatto l’opinione che si debba discutere del tema con laicità, scienza e liberi da preconcetti. Io stesso, che posso apparire  come favorevole all’opera (in realtà è meglio dire che non sono contrario a prescindere) sono interessato agli argomenti di chi la pensa in modo diverso. Ma sono interessato a quelli corroborati da dati scientifici e non dalla sola passione delle diverse tifoserie. 

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Mauro D'ascenzi

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