A soli quattro giorno dall’articolo dal mio articolo sul Moscone “Se a sinistra c’è rimasto solo il Vescovo”, è arrivata la notizia del trasferimento di Vittorio Viola, Vescovo della diocesi di Tortona, in Vaticano a Roma.
Ovviamente – e per fortuna – il Moscone non c’entra nulla. La decisione era nell’aria, e lo stesso Vescovo la aveva anticipata privatamente durante la sua visita agli uffici dell’Acos di Novi.
Papa Francesco lo ha chiamato a Roma come segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Questa istituzione ha competenza per tutto quello che riguarda la liturgia della Chiesa latina e la disciplina dei sette sacramenti (in particolare, esamina le questioni relative ai casi di validità del matrimonio e dell’ordine). Viola va a sostituire monsignor Arthur Roche, che è stato nominato prefetto della stesa congregazione al posto del cardinale Robert Sarah, guineiano, capofila dei tradizionalisti che si oppongono alla Riforma.
Non posso che fare i miei migliori auguri a Vittorio Viola, anche se sono dispiaciuto della sua partenza.
Non sono cattolico, ma devo ammettere che, ogni volta che ho avuto occasione di ascoltarlo, ne sono rimasto molto colpito. Ricordo bene, nel settembre del 2016, il suo primo incontro “ufficiale” con la comunità novese, nella messa in Collegiata. A vederlo nei suoi paramenti sacri, a uno come me non avvezzo alla frequentazione delle funzioni sacre, il Vescovo Vittorio Viola sembrò uscito dalle stanze del tempo. Ma le sue parole mi fecero capire chiaramente quanto il nuovo vescovo fosse profondamente radicato nell’oggi.
Io allora ero giornalista per il Novese, e mi misi sotto il pulpito, cercando di fargli una bella foto da mettere in prima pagina del giornale. Gliene feci un po’ troppe, e lui ad un certo punto si interruppe, mi guardò serio e mi disse: “Hai finito?”. Ero troppo preso dal cercare di fare una buona foto e non mi ero reso conto che i miei continui colpi di flash stavano dando fastidio. Non ho mai avuto occasione di scusarmi, lo faccio ora. “Che figura di m…”, pensai.
Mi misi ad ascoltarlo in un angolo. Forse, se non mi avesse sgridato, fatte le foto me ne sarei andato via. Il suo linguaggio provava ad essere formale, ma diventò subito diretto, al cuore e alle teste delle persone in ascolto.
La parte più forte del suo discorso, per me, fu il richiamo alla solidarietà verso i meno fortunati: «Abbiamo paura dei poveri, abbiamo paura che vengano alla nostra mensa e ci rubino uno dei 10 panini che abbiamo messo in tavola, sapendo che sette finiranno nel bidone… Ma siamo fuori?»
Mi conquistò.
Il riferimento ai migranti, all’accoglienza e alla battaglia del Santo Padre su questo tema fu chiarissimo.
A Novi, allora, c’era chi era preoccupato per la mancanza di preti, dopo la morte di Don Francesco Zanolli. «Non temete – disse il Vescovo – a Novi la chiesa non chiude, anzi si apre sempre più. Ma il lavoro del prete è molto più che aprire la chiesa e discutere sull’orario della messa della domenica… c’è chi chiede di sbrigarsi perché è quasi mezzogiorno e deve andare a pranzo. La chiesa non è uno sportello che eroga servizi, ma una grande comunità».
Se mi sono riavvicinato alla chiesa (pur restando delle mie idee, sia chiaro), lo devo a quel discorso di quella sera e alle chiacchierate con quel fantastico uomo (e prete) che è Don Livio Vercesi.
Ebbi poi modo di risentire Viola quando incontrò il consiglio comunale di Novi, e sopratutto nella messa di Natale che tenne nel piazzale antistante la Pernigotti, a fianco degli operai mobilitati a difendere il loro posto di lavoro. Un gesto memorabile.
Vittorio Viola mi mancherà, e credo mancherà a tutti noi.
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