Il 21 dicembre 2019 è stata l’ultima volta in cui ho visto una partita dal vivo. Era il recupero della dodicesima giornata del girone di andata di Prima Categoria fra Novese e Costigliolese, terminato sei a zero per la squadra di mister Grieco. Complici impegni di svariata natura, non sono riuscito a seguire le prime uscite dei biancocelesti nel 2020. Poi è successo qualcosa che sembrava uno scenario pessimistico perfino nei videogiochi di simulazione geopolitica.
L’ultimo anno e mezzo, dal punto di vista sportivo, ci ha spiegato che tre mesi chiusi in casa passano molto lentamente quando non hai nemmeno la consolazione dello spettacolo di un gesto atletico o del fiato sospeso per un risultato in bilico. Il periodo rimanente ha reso palese, se mai ce ne fosse stato bisogno, che un evento sportivo senza la presenza del pubblico perde una buona parte della sua ragion d’essere. Forse non è stato così per tutti, ma è stato difficile emozionarsi di fronte allo sport in TV potendo ascoltare nitidamente solo le urla degli atleti o le indicazioni degli allenatori.
Da qualche giorno a questa parte, però, è scattato qualcosa. Lo sport dilettantistico, amatoriale e giovanile fa ancora fatica a ripartire, ma l’entusiasmo dei circa 15.000 che hanno affollato lo Stadio Olimpico lo abbiamo sentito forte e chiaro, in occasione delle tre partite della nazionale di calcio nel primo Campionato Europeo itinerante. Un entusiasmo che ha perfino spinto il premier Draghi a proporre Roma come sede alternativa della final-four di luglio nel caso la variante indiana (pardon, Delta) dovesse rendere complicata la posizione di Londra, considerato poi che l’opzione B per l’Uefa sarebbe Budapest, con il rischio di fornire appoggio alla propaganda di Viktor Orban che ha già iniziato il tam-tam elettorale in vista delle elezioni del 2022 in terra magiara aprendo lo stadio, unico nel continente, nella sua interezza a differenza di quanto fatto dai suoi più avveduti colleghi europei.
C’è una pubblicità, in questi giorni, che mostra un giovane calciare una pallina al suo cane al parco, con in sottofondo “Notti Magiche” di Gianna Nannini ed Edoardo Bennato. Ero troppo piccolo per ricordarmi le vere Notti Magiche, quelle di Italia ’90, quando nel nostro paese si respirava aria di trionfo, di crescita e di fiducia, tutto rapidamente tramontato prima con l’uscita avventata di Walter Zenga su Caniggia, poi con Tangentopoli e l’orrenda stagione degli attentati mafiosi. Eppure anche queste sono Notti Magiche: bastano 15.000 voci in uno stadio che ne può contenere cinque volte tanti per ricordarci che cos’è stata la vita fino a poco più di un anno fa e cosa ci aspetta alla fine del tunnel. Magari questa volta Donnarumma sarà più attento di Zenga se si troverà di fronte a Kylian Mbappè, o magari questa volta la politica presterà più attenzione a come verranno gestite le risorse economiche. Magari potremo davvero festeggiare con il tricolore nelle piazze del nostro paese fra poco meno di un mese, ce lo meritiamo davvero. E se non per una questione sportiva (capisco che non tutti possano essere seguaci della Dea Eupalla) per le prospettive che la vittoria dell’Europeo potrebbe regalare al nostro paese: tre anni fa la rivista Forbes raccontò come il rigore di Grosso nella finale contro la Francia del 2006 fece scattare il Pil italiano al 2%, un picco che l’Italia non raggiungeva da 17 anni, addirittura da prima delle Notti Magiche. Merito di quell’esplosione di consumi trainati dall’entusiasmo per la vittoria ai mondiali in Germania. E’ sicuramente un buon motivo per tifare gli azzurri anche se non si ama lo sport più popolare del pianeta.
L’eredità della pandemia dal punto di vista sportivo sarà pesante: il rischio è che anche le società più strutturate possano sottrarre risorse alle attività dei settori giovanili nel timore che questi possano essere meno remunerativi sul breve termine, con la conseguenza di rischiare un periodo di stagnazione che non solo non ci assisterà nella conquista degli allori nei vari sport, ma che potrebbe allontanare le generazioni più giovani all’attività fisica, certamente non uno scenario positivo dopo il lungo periodo di isolamento al quale molti sono stati costretti.
Europei a parte, usciremo anche ritrovando la centralità dello sport nel tessuto cittadino: ce ne siamo resi conto, ad esempio, quando la Novese con cui avevo voluto aprire questo pezzo è passata dall’essere una squadra di quarta serie imbottita di perfetti sconosciuti a compagine dell’ultimo gradino della piramide calcistica, ma con un seguito mai visto negli anni precedenti, merito dell’oculata gestione strettamente locale. E non c’è bisogno di farne questioni di campanilismo: allontanandoci dal calcio, l’unione di intenti fra le squadre di volley a Gavi e Novi potrebbe dare i suoi frutti promuovendo uno sport che dalle nostre parti ha visto emergere numerosi talenti.
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