Lo sceriffo leghista di Voghera

Lo “sceriffo”: così è soprannominato l’assessore leghista alla Sicurezza di Voghera, che il 20 luglio scorso ha sparato e ucciso un uomo di 39 anni, Youns El Bossettaoui. Ma andiamo con ordine. Secondo le prime ricostruzioni e ipotesi la vittima, di origine marocchina e con alcuni reati alle spalle, sotto l’effetto dell’alcool, avrebbe infastidito alcune persone sedute ai tavolini di un bar nel centro di Voghera. Massimo Adriatici, assessore alla Sicurezza, leghista, ha quindi deciso di intervenire, prima chiamando le forze dell’ordine e, poi, sempre secondo un’ipotesi, estraendo la pistola che portava con sé – detenuta con regolare porto d’armi –, per poi caricarla, nel pieno centro della città, senza alcuna qualifica di agente. Successivamente si sarebbe trovato coinvolto in una colluttazione con il trentanovenne (totalmente disarmato) e, dopo aver forse ricevuto un pugno, cadendo a terra, sarebbe partito accidentalmente il colpo mortale, nonostante il tempestivo intervento del 118.
Ovviamente si tratta di ricostruzioni e di ipotesi e soltanto quando la giustizia avrà fatto il suo corso potremo, allora, conoscere la versione autentica o, quantomeno, più attendibile e verificata. Tuttavia, credo che, soprattutto dopo la morte di una persona, alcune considerazione vadano fatte.

Massimo Adriatici è un ex poliziotto, che ha rinunciato alla propria carriera nell’Arma per dedicarsi a lavori diversi, forse meno rischiosi: è, infatti, un docente di diritto penale e procedura penale presso la Scuola allievi agenti Polizia di Stato Alessandria. Insomma, non certo uno sprovveduto, eppure molte persone non lo raccontano in maniera propriamente positiva, anzi. In città era chiamato da molti “sceriffo” perché era solito girare armato e prendere iniziative che, forse, non gli competevano, sentendosi in qualche modo garante dell’ordine, senza, però, possederne i requisiti.
Il Pd ha chiesto che il premier della Lega, Matteo Salvini, condanni pubblicamente l’episodio, così da sottolineare tutta la negatività di quello che è un fenomeno sempre più diffuso e pericoloso, ovvero la “giustizia fai da te”. Cosa dovrebbe dichiarare chi, per la propria ed eterna propaganda politica, ha diffuso e continua a diffondere odio e paura, nonché il messaggio implicito che queste forme di giustizia (che, poi, giustizia non sono) siano lecite? Purtroppo, però, se l’assessore dice che il colpo è partito accidentalmente, Salvini, invece, afferma che si tratti di legittima difesa… almeno che si mettano d’accordo: o uno o l’altro.
Sempre più spesso le pagine di cronaca raccontano di episodi analoghi, che ricordano il Far West, piuttosto che un mondo evoluto, da XXI secolo. È un problema ampio: sempre più persone si convincono di poter ferire o uccidere nel nome dell’autodifesa, anche quando autodifesa non è. Un assessore solito girare in città armato, anche in pieno giorno, dovrebbe far riflettere: io sono stata molte volte a Voghera, da sola, con amiche, con mia madre, col mio compagno e non ho mai sentito la necessità di essere armata, tanto meno con una pistola, specialmente in pieno centro città e nelle sere d’estate in cui non manca certo movimento. Perché, quindi, un uomo, ex poliziotto e, quindi, anche addestrato nelle tecniche di autodifesa non armata, crede sia così importante avvalersi di una pistola, per di più in quella che è la città amministrata dalla sua giunta, in cui è lui stesso assessore alla Sicurezza?
L’impressione è quella che in questo clima di terrore alcune forze politiche, e non solo, abbiano legittimato determinate idee e azioni, fino a giustificare quello che è un comportamento da sceriffo, convalidato ancor più dalla carica ricoperta, concorrendo a confondere il ruolo di agente di Polizia con quello di assessore che nel suo tempo libero e, quindi, in veste di cittadino, passeggia per il centro della città.

Sui social i commenti non si sono fatti attendere e ho dovuto leggerne alcuni davvero deplorevoli: persone che gioivano, altre che si dichiaravano non per nulla dispiaciute e ancora chi difendeva a spada tratta l’assessore, perché “ci avrebbe liberati da un peso”. Certo, in fondo non solo non interessa quasi a nessuno della vita di uno straniero, ma, addirittura, stiamo vivendo in un’epoca in cui la notizia della morte di un extracomunitario allieta gli animi. Magari gli stessi animi di chi si reca in chiesa tutte le domeniche, predicando la dottrina cristiana e razzolando, però, malissimo.
E allora, visto che della morte di un uomo la cui vita è considerata da molte, troppe, persone meno importante di quella di un italiano o, meglio, di una persona la cui pelle è bianca, provo a metterla in un’altra prospettiva: e se quel colpo, che si dice essere partito accidentalmente, avesse ferito o ucciso un italianissimo? Se avesse colpito un bambino dalla bella famiglia italiana? Se avesse ammazzato una madre o un padre? Continuereste comunque a cercare di difendere l’autore dello sparo? O, magari, riuscireste a dare, ancora una volta, il peggio di voi, dicendo che, non si sa bene come, è colpa del nero cattivo?

E proprio ieri sera, mentre su Rai 3 andavano in onda le riprese ritrovate dello storico concerto di Genova, in cui Fabrizio De André cantava Il testamento di Tito, recitando una delle sue frasi più belle, “e un ladro non muore di meno”, c’era chi (sempre col forse) estraeva una pistola e la caricava, perché in fondo, probabilmente, il pensiero è sempre lo stesso e anche il più scontato, ossia che la vita di uno straniero valga meno. Ed è per questo che oggi, voglio dire a piena voce che uno straniero non muore di meno e che nessuno, nemmeno l’assessore leghista alla Sicurezza soprannominato “sceriffo”, ha il diritto di privare un’altra persona, con o senza reati alle spalle, del bene più prezioso, la vita.

Chiudo augurando a Youns El Bossettaoui – la cui esistenza non deve avergli regalato nulla, come spesso succede a chi, per sfortuna, nasce nella parte sbagliata del mondo – di riposare in pace e di trovare un posto migliore e più aperto ovunque lui sia.

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