Il Moscone, si sa, ronza un po’ dappertutto. Così oggi, nel suo svolazzare di qui e di là si è fermato in quel di Puglia, precisamente nella Foresta Umbra, polmone verde del Gargano. Il nome potrebbe fuorviare la sua collocazione geografica. Umbra sta per ombrosa: i numerosi alberi danno, o almeno dovrebbero dare, un po’ di refrigerio dalle bollenti coste garganiche. Dico dovrebbero perché se sulle coste ci sono quasi 40 gradi, qui si arriva a 30, perciò dire refrigerio è un po’ un eufemismo.
Ma veniamo al titolo del mio articolo e a cosa mi ha portato a scrivere quanto segue e riflettere su come l’essere umano abbia perso (o forse non lo ha mai avuto) rispetto per la natura stessa e gli altri.
Arrivando alla foresta umbra troviamo parcheggio ai lati della strada, vicino a cartelli che richiamano i turisti verso una trattoria. Pochi passi avanti ed ecco una serie di banchetti che vendono manifattura in legno o propongono le più squisite prelibatezze.
Passiamo un piccolo laghetto caratteristico e, seguendo un facile percorso, iniziamo una breve passeggiata, interrotta da una pausa per ammirare la natura mangiando un panino. Peccato che poco più in là si fermino 4 o 5 signore a chiacchierare tra loro con toni per nulla rispettosi né di chi vorrebbe godere del silenzio attorno né degli abitanti del bosco, che sicuro con questo caos e andirivieni di persone non si faranno vedere. Sembra di stare a passeggio per le vie del centro cittadino: chiacchiere, acquisti, rumenta lasciata qui e là.
Riprendiamo il cammino ed ecco una coppia con un cane libero, di taglia piccola ok, ma pur sempre libero. Io amo i cani, ma credo che sia doveroso tenerli al guinzaglio quando ci si trova in mezzo agli altri. Il cane in questione prima va a disturbarne un altro, costretto a essere trattenuto dal padrone, dopo di ché si avvicina abbaiando a mio figlio e, per quanto mi si dica il classico “tranquilla non fa niente” io tranquilla non la sono, non si può mai sapere come può reagire un animale anche solo spaventato da un cucciolo d’uomo.
Andiamo avanti. Ci fermiamo a osservare bellissimi alberi secolari. Nonostante ci troviamo in un punto del sentiero meno battuto, poco dopo udiamo un rumore sordo e ripetuto. Cos’è? Una coppia che passa con bastoni alla mano: lei che continua a battere su ogni cosa che trova, staccionate, pietre, alberi. Non lo fa per allontanare le vipere, lo si vede chiaramente, ma sicuramente disturba altri animali, e noi.
Proseguiamo ed ecco l’esemplare che mancava: l’uomo al cellulare. Cammina nella natura insieme ad altre persone, lo sguardo fisso sul display. Accidenti, mi avevano detto che qui il telefono non prendeva, mi sa che si sono sbagliati.
Va bene, la nostra visita finisce qui.
Ecco però che, ripartendo, passiamo a fianco a qualcosa che non avevamo visto al nostro arrivo: un bel gruppo di daini vicino a una rete, tenuti in cattività, non so se per motivi legati alla loro incolumità o semplicemente per finalità turistiche. Di sicuro sono abituati all’uomo, si vede da come si avvicinano alle mani per farsi dare una carezza o del cibo (ma non sarebbe vietato?).
Non voglio fare l’animalista, non diserto luoghi in cui gli animali vengono tenuti in cattività come zoo o acquari, ma se uno va in luogo chiamato foresta si aspetta tutt’altra cosa. Almeno per me è così.
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