Riprendendo un articolo del settimanale Panorama sulla Pernigotti dal titolo: “I Tolskoz mettono lo stabilimento sul mercato”, mi viene da dire: quale migliore occasione per la città di Novi di tentare di acquisire il celebre marchio e di metterlo al sicuro dalle speculazioni di mercato.
Mercato che di tutto si interessa, tranne che della sorte dei dipendenti e del futuro stesso dell’impresa e, meno che mai, si interessa a salvaguardare una azienda storica dell’eccellenza locale se non ai fini speculativi.
Queste contrattazione avvengono con lo scopo di passaggi di proprietà ad entità indefinite, fino ad essere collocate in paese in via di sviluppo dove l’impiego della mano d’opera ha un costo irrilevante.
Questa prassi che si sta consolidando vede movimentare, da grossi gruppi economici, imprese di un certo interesse e marchi prestigiosi, in oggettiva difficoltà ad operare su un mercato globale.
Le acquisiscono con le motivazioni più allettanti, ottenuti tutti i vantaggi possibili e sovvenzioni ad hoc, le delocalizzano e successivamente le vendono con notevoli margini di profitto e il giochetto riprende.
L’occidente ha raggiunto nel contesto temporale, nella prestazione della mano d’opera notevole evoluzione, consentendo un tenore di vita ragguardevole . Da qualche tempo, questa evoluzione si è molto attenuata, costretta a competere con la cosiddetta globalizzazione, e quindi misurarsi con paesi emergenti che sono avvantaggiati dal bassissimo costo nella prestazione della mano d’opera.
In tutto l’occidente, la valorizzazione del lavoro ha rappresenta un eccellente sistema per la distribuzione della ricchezza e cruente lotte sindacali, consentendo un elevato tenore di vita e di sviluppo sociale. Da tempo in Italia vi è stata una stagnazione delle retribuzioni, già di per sé non all’altezza della comunità Europea. È addirittura diminuita, nel tentativo di competere, per cercare di sostenere una concorrenza capestro, mentre la pressione fiscale è aumentata. Controsenso tutto nostrano.
La nostra amata Pernigotti è entrata in questo gioco speculativo, la sua sorte è segnata e a nulla serviranno riunioni, promesse di salvaguardia, impegni governativi, prese di posizioni sindacali o agitazioni delle maestranze. Possono solo servire a prolungare prolungarne l’agonia.
Si dovrebbe cominciare a ragionare su un diverso modo dell’organizzazione del lavoro , così come è attualmente non può avere lunga vita, fino a che su di esso vi si esercita la spinta speculativa di diversi soggetti.
Nel caso specifico della nostra amata Pernigotti, i dipendenti e le forze politiche locali, dovrebbero capire questi concetti e cercare, se veramente vogliono salvare l’azienda, di farsi promotori di un’azione di acquisizione del pacchetto di maggioranza. Coinvolgendo nell’operazione tutta la città, promuovendo un azionariato sociale, in modo che qualsiasi cittadino e impresa che hanno a cuore la società, in relazione alle sue possibilità, ne rilevano la maggioranza.
Le maestranze ne assumerebbero la direzione come proprietari figurativi, con un salario flessibile in modo da reggere il contenimento dei costi in modo da chiudere in pareggio il bilancio, salvaguardando l’eccellenza del prodotto che rimarrebbe di proprietà della città.
Sembra una cosa impossibile, non realizzabile? Anche l’Acos Spa nacque da un’idea coraggiosa!
Sono le idee apparentemente assurde che trasformano l’impossibile in possibile. Non con le proteste senza costrutto.
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