La democrazia e il potere

Fin da tempi remoti, la democrazia è stata considerata la forma di governo più attinente alle necessità dei popoli. Essa garantisce pluralità di gestione, scelta degli amministratori e governanti, attraverso il voto. Nel tempo questa forma di governo si è affinata, perfezionata, fino a rendere l’opinione pubblica preminente nell’attenzione della classe dirigente, tanto da condizionarne le scelte per la governance.

Le democrazia più evolute dei paese occidentali si sono dotate, tutte, di forme democratiche seppure con differenziazione, sia nei modi sia nelle forma: sistema presidenzialismo, semi presidenzialismo, parlamentare. Diversi sono pure i metodi elettorali. 
Tutti questi sistemi hanno in comune la divisione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Sopratutto sanciti dalla carta costituzionale, che ogni stato emana con suffragio universale a garanzia di diritti individuali e collettivi: diritto alla libertà di movimento e di espressione, diritto alle cure mediche e d’istruzione, diritti religiosi e politici.
Tutti questi principi, sacrosanti, sovente cozzano contro situazioni contingenti che purtroppo costringono a delle scelte che trovano difficile applicazione all’atto pratico, e mettono in una condizione di conflittualità i fatidici poteri.
Questo crea confusione di ruoli, che si trasforma in una lotta di potere per il potere e il sistema democratico mostra i suoi limiti, rispetto alla supremazia dei sistemi autocratici ove il potere è difeso platealmente, naturalmente con limitazione dei diritto se non proprio la soppressione dei medesimi.
Da quando i partiti politici hanno perso la loro funzione di preparare e organizzare gli aderenti al compito politico; agendo da laboratorio, di apprendistato anche ideologico, ha preso quota l’aggregazione attorno ad un leader.
Questo, facendo perno su una campagna pubblicitaria, utilizzando il carisma e la notorietà di personaggi ampiamente conosciuti dal pubblico e di programmi, il più delle volte farlocchi, nella realizzazione ma di grande impatto sulle aspettative popolari, il consenso è diventato molto labile e sopratutto meno ideologico.
Questo ha portato ad alcune disfunzioni nell’aggregazione politica, avendo per riferimento prevalentemente il successo personale a discapito di quello generale.
E’ iniziato con l’era Berlusconiana il quale forte del controllo sulle reti televisiva e notevoli risorse economiche, si è imposto con un consenso diffuso. Il sistema è rimasto silente non riuscendo ma sopratutto non volendo, regole stringenti che obbligano i rappresentati del popolo a essere coerenti con il programma elettorale con cui sono stati eletti.
Ma il fatto più eclatante si è avuto, qualora c’è ne fosse stato bisogno, in questi giorni con la scissione nel gruppo più numeroso di parlamentari. Il Movimento Cinque Stelle e più in generale le defezioni verificatosi durante tutta l’attuale legislatura. Defezioni che si sono avvicinate ai quattrocento parlamentari che hanno cambiato casacca rispetto all’elezione e naturalmente indirizzo politico.
I motivi di queste diserzioni sono i più svariati ma tutti riconducibili al minimo comune denominatore , la salvaguardia dell’interesse personale, per garantirsi posizioni di privilegio e in prospettiva la rielezione. E’ in questo contesto che si possono ragguagliare le motivazioni per non aver mai promulgato una severa legge sul conflitto d’interesse.  Oltre naturalmente ad un serio ordinamento sulla disciplina dei deputati e senatori e sui loro sfacciati privilegi.
Ciò ha determinato una deriva della figura del parlamentare, i quale, per tanti, troppi, l’elezione è una ambizione economica e dello status quo .
Oh! Che motivo di servizio per contribuire all’evoluzione sociale della società!
Per tanti è stato un colpo di fortuna come vincere alla lotteria, si sono trovati nella scia di un genio come è potuto essere Grillo, che ha saputo motivare gli elettori su delle problematiche ampiamente sentite e ignorate e grazie alla lista con lo stemma del movimento si sono trovati nel palazzo del potere, senza nessuna esperienza e senza nessun merito, senza nemmeno essere conosciuti dall’elettore.
L’egoismo, la superbia la supponenza ha preso il sopravvento sulle nobili intenzioni e il potere costituito, che nulla vuole che cambi, ha buon gioco nel circuire personaggi, inebriati fino a fargli credere di essere quello che non sono e convincerli a votare in modo difforme dalle promesse elettorale o addirittura a disconoscere la loro stessa formazione, sostenendo il sistema che volevano cambiare.
Eppure la deriva sarebbe di facile soluzione: basterebbe un ordinamento che obbligasse l’eletto a dimettersi se non condivide il programma con il quale è stato eletto e ripresentarsi con la sua faccia davanti agli elettori.
Oppure un nuovo sistema elettorale completamente diverso, individuale, per cui ogni candidato si presenta con un suo programma personale, con l’eliminazione di ogni forma di appartenenza o organizzazione collettiva e di ideologia. In tal modo si elimina la contrapposizione tra maggioranza e opposizione, esprimendo il voto in base alle proprie convinzioni e nell’interesse degli elettori che rappresenta . In tal caso ognuno si guadagnerebbe il diritto di gestirsi con la propria testa. ( naturalmente la questione sarebbe molto complessa, ma non impossibile)
Una fatto è assodato il sistema attuale non è più sostenibile, qualcuno in passato ebbe a dire: ”potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli”. Le conseguenze sono terribilmente note. 
Oggi lo sta diventando naturalmente un bivacco, non per imposizione dell’uomo forte ma per naturale decadenza. 

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Francesco Giannattasio

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