Votare sotto le bombe

Le prossime elezioni politiche avranno un notevole rilievo poiché il loro esito non determinerà semplicemente gli equilibri politici interni ma si ripercuoterà sulla stessa Europa, sulle prospettive di crescita e di sviluppo di un’area che, negli ottant’anni di pace che ha garantito, si è rivelata un esempio di società prospera e libera, tollerante e accogliente.

Le elezioni del 25 settembre, con sondaggi che sembrano favorire lo schieramento di destra guidato da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, promettono la vittoria di un’alleanza populista e antieuropea. Uno schieramento sconclusionato – non fosse altro per la presenza di Forza Italia che, facendo parte del Partito popolare europeo, teoricamente dovrebbe trovarsi altrove – con Meloni spasmodicamente protesa a ricercare una legittimità atlantica che le spalanchi le porte del governo, e Salvini che blatera di togliere le sanzioni a Mosca o adombra pelose iniziative di «pace», come una marionetta i cui fili sono tirati a piacere dai servizi segreti russi.

Ciò che accomuna i due, più che anacronistici riferimenti al fascismo storico, è il carattere reazionario delle proprie intenzioni in materia di diritti civili, inneggiando a Dio-patria-famiglia come fanno da due secoli i più vieti reazionari, a cui si aggiunge la cecità nei confronti delle crisi drammatiche che incombono, dalla gestione delle crisi sanitarie alla risposta che occorre pur dare a un mutamento climatico che minaccia la nostra stessa esistenza sulla terra. Ma tra i candidati di destra a governare l’Italia chi si preoccupa di tutto ciò? Per Giorgia Meloni gli ecologisti sono solo dei «gretini», ma quando nelle Marche cadono le prime piogge autunnali, i morti si contano a due cifre. E di fronte alla pandemia di Covid, solo pochi mesi fa, non erano forse Meloni e Salvini ad accreditare gli sproloqui di no-vax e altri terrapiattisti?

Tuttavia, è soprattutto la politica estera a rivelare l’ambiguità di questa destra. Meloni non perde occasione per minacciare sfracelli, in Europa: una vittoria del suo partito – ha detto – farebbe «finire la pacchia», per francesi e tedeschi. Bisognerebbe ricordare all’esponente di FdI che le recenti misure adottate dall’Unione europea hanno attribuito all’Italia circa 200 miliardi di euro, quattro volte ciò che riceveranno Francia e Germania. E poi, la difesa a oltranza di Orban, un dittatore da operetta se l’Ungheria non fosse collocata in seno all’UE. Il Parlamento europeo ha recentemente votato una mozione contro Budapest perché Orban ha messo sotto controllo la magistratura, ha colpito i diritti civili, ha dato vita a un sistema fondato sulla corruzione. Socialisti, liberali, popolari hanno votato a favore; solo l’estrema destra, e per l’Italia Lega e FdI, ha sostenuto Orban. In quanto a « pacchia », si ricorda che il 4-5 per cento del prodotto interno lordo ungherese proviene dai fondi dell’Unione europea.

Il fatto è che l’Ungheria – di cui Giorgia Meloni garantisce la «democrazia» e si accinge a sostenere a oltranza boicottando, se giungesse al governo, le misure dell’UE – è oggi un paese in cui non c’è più un solo giornale d’opposizione, la magistratura è nelle mani dell’esecutivo e diritti diffusi normalmente nei paesi dell’UE sono disattesi o negati. Un paese il cui governo dà vita a un’assordante retorica nazionalista e razzista in cui si mescolano le prerogative dei «bianchi», la denuncia di un improbabile complotto ebraico, i richiami al «trono e altare» del passato remoto, il revanscismo di rivendicazioni territoriali che nel nome di una «Grande Ungheria» minaccia Romania, Slovacchia, Serbia, Croazia e, non è un dettaglio, Ucraina. Pretese destinate a far impallidire il ricordo di quella questione balcanica che fu all’origine della prima guerra mondiale. Ma pretese da considerare seriamente, quanto meno per la spregiudicatezza di Orban nell’inchinarsi all’espansionismo di Mosca: l’esponente magiaro si è infatti opposto alle sanzioni alla Russia e all’invio di aiuti militari all’Ucraina. Orban sembra aver trasformato l’Ungheria in un cavallo di Troia, per indebolire l’Unione europea e trovare riparo sotto l’ombrello di Mosca. Ma si tratterebbe di uno stravolgimento degli equilibri geopolitici di questa parte del mondo che soltanto una completa occupazione russa dell’Ucraina renderebbe possibile. Anche se oggi una simile prospettiva sembra improbabile – per la determinazione degli ucraini e per il sostegno occidentale – c’è da chiedersi quali siano le ragioni che hanno spinto Putin a dare inizio alla guerra e a definire piani imperiali che minacciano l’Europa e debordano dal continente eurasiatico vero e proprio, come è accaduto con l’intervento in Siria e con lo sbarco di mercenari al servizio del Cremlino in Libia. Il fatto è che la Russia di oggi è un paese che ha una estensione continentale, un armamento nucleare e convenzionale ragguardevole, apparati relativamente moderni. Ma ha alcuni difetti che le negano lo status di grande potenza che era dell’URSS: a dispetto di notevoli risorse minerarie e energetiche ha un prodotto nazionale lordo paragonabile a quello della Spagna, è un paese schiacciato da enormi diseguaglianze sociali e territoriali ed è relativamente povero. Prossimo, però, alla ricca Unione europea, un gigante economico privo di vere istituzioni statuali, senza una politica estera e di difesa unitarie e centralizzate. Un paradiso che agli occhi di Putin sembra debole abbastanza da poter essere sottomesso all’espansione russa. Un’espansione volta ad assicurare a Mosca prima i paesi che hanno abbandonato lo spazio geopolitico dell’URSS di un tempo (Ucraina, Moldavia, Georgia, i paesi baltici, le repubbliche dell’Asia centrale), poi l’Europa. Ma in questo caso, non è necessario inghiottire l’Unione europea. È sufficiente disgregarla, renderla politicamente fragile e militarmente ricattabile, per dominarla. Questo progetto è in corso d’opera da due decenni, e lo strumento che si è rivelato più efficace per realizzarlo è l’apporto delle forze euroscettiche, populiste, sovraniste che ben volentieri si sono prestate a essere manovrate dai russi: Orban in Ungheria, Vox in Spagna, Le Pen in Francia, i partiti di estrema destra in Germania e nei paesi scandinavi, Salvini (e Meloni!), con l’appoggio di riservisti quali Di Battista (e Conte!), in Italia.

Un programma che è elaborato e propagandato nei circoli ufficiali russi da « filosofi » come Alexandr Dugin. Uno che odia Occidente, democrazia, liberalismo, progresso. Che vuole élite guerresche che comandino su uno spazio esteso da Lisbona a Vladivostok (come ha dichiarato Vladimir Putin), facendo «come gli Unni» e dando luogo a una politica dal carattere «rigidamente anti-liberale».

Vyacheslav Survov, un altro degli «ideologhi» di Putin, proponeva di «esportare il caos». Con le bombe e i carri armati, con i virus informatici e la disinformazione digitale, con il ricatto energetico e l’allevamento di collaborazionisti su cui contare a tempo debito.

Come oggi, in Italia, quando dovremo votare sotto le bombe.

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Francesco Montessoro

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