L’opera “Un ballo in maschera” in scena al Teatro Carlo Felice di Genova fino a domenica 5 febbraio mostra tutta la genialità del suo autore Verdi che, seppur contrastato dalla pressante censura napoletana, ne farà un capolavoro, dimostrando ancora una volta la sua grande versatilità nelle scelta oculata dell’ambientazione storica così come in quella di registri musicali che riflettono emozioni e sentimenti. Sì, Verdi rende in musica una straordinaria molteplicità espressiva: passando dalla tranquillità di un placido sonno (così si apre l’opera con Riccardo, governatore di Boston che si sta per svegliare da un piacevole sonno) al clima felicità di una festa, dall’amore sublimato alla tragedia (quello di Riccardo per Amelia), dall’amicizia incondizionata (quella più volte dimostrata da Renato nei confronti di Riccardo) all’odio che si trasforma in vendetta. Tutto questo è Verdi che ispira il maestro Donato Renzetti, conoscitore dell’opera più volte eseguita nel corso della sua prestigiosa carriera artistica ad una magistrale direzione di Leo Nucci che ha vestito i panni di Renato con Luciano Pavarotti, anch’egli grande conoscitore dell’opera che affronta il faticoso compito dell’allestimento scenico, la mise-en-scène, come lui stesso ribattezza parlando della sua regia, poiché quella vera è solo quella di Verdi; lui ne è solo un interprete del pensiero del compositore.
Nelle numerosi cornici sceniche dove si fondono sapientemente luci e ombre, monocromia e policromia, senso della prospettiva e armonia degli spazi, Leo Nucci fa rivivere non solo l’ambientazione storica ma il pensiero verdiano sul valore della libertà.
In quest’opera, però, accanto alla tragedia politica che sta per consumarsi con la congiura ordita da Sam, Tom e altri seguaci (come non menzionarli nel coro e quartetto finale del II Atto “E che baccano sul caso strano/ andrà dimane per la città!”, deridendo Renato che ha scoperto il tradimento di sua moglie con Riccardo) si esaurisce un amore sincero, onesto ma tormentato perché entrambi, Riccardo e Amelia, si sentono colpevoli di un peccato che non hanno commesso: la vendetta per fini politici è vendetta d’amore perpetrata da Renato, accecato dall’ira e dalla sete di vendicare il torto e l’affronto subiti dal suo migliore amico.
I ruoli di Riccardo, Amelia e Renato sono “cuciti” addosso al tenore Francesco Meli che dimostra doti interpretative notevoli oltre ad una qualità timbrica che cattura passione e tormento, la soprano Carmen Giannattasio, capace di passare da momenti di breve irruenza (nel I Atto quando irrompe nell’abituro della maga Ulrica) alla preghiera “Consentimi, o Signore, virtù ch’io lavi ‘l core”) alla sofferta dichiarazione d’amore, nel campo dove si eseguono le condanne a morte “Ebben, sì, t’amo” in cui i due interpreti raggiungono l’apoteosi di un desiderio finalmente confessato. Arriviamo a Renato, un talentuoso Roberto de Candia, che ha calcato palcoscenici nazionali ed internazionali rivelando poliedriche doti interpretative sia in duetti che nelle arie, in particolare nella “O dolcezze perdute! O memorie/d’un amplesso che mai non s’oblia!../Quando Amelia sì bella, sì candida/ sul mio seno brillava d’amor!…”. Renato si strugge per un amore finito, ma anche per un’amicizia perduta che segna la fine del governatorato di Boston: tragedia di un regno, tragedia di un amore: così si congeda Riccardo “Addio, diletta Ame…rica” (ma Verdi in quelle prime sillabe indicava Amelia).
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