Il 10 giugno 1924, intorno alle ore 16:15, Giacomo Matteotti usciva dalla propria residenza di via Pisanelli n.40, quartiere Flaminio, dirigendosi a piedi verso Montecitorio, pensando di trascorrere alcune ore in biblioteca. Il giorno successivo avrebbe dovuto parlare in Parlamento sulle tangenti che il regime fascista aveva ricevuto dalla compagnia americana “Sinclair Oil”, ma non arrivò mai alla Camera. Quando, quel pomeriggio del 10 giugno, si avviò verso il lungotevere Arnaldo da Brescia, sul suo cammino incrociò un’auto – una Lancia Lamda – con a bordo Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Amleto Poveromo e Augusto Malacria, l’autista, tutti appartenenti alla polizia politica al servizio di Benito Mussolini.
Il gruppo balzò addosso a Matteotti, che, nell’immediato, riuscì a divincolarsi, buttando un aggressore a terra; ma un secondo lo stordì, colpendolo al volto con un pugno, e altri due intervennero per caricarlo in macchina. L’auto partì a tutta velocità, mentre all’interno scoppiò una rissa. Nella confusione, Matteotti riuscì a gettare fuori dall’auto il tesserino da parlamentare, poi ritrovato presso il Ponte del Risorgimento. Il tentativo di divincolarsi della vittima fu bloccato da Giuseppe Viola, che estrasse un coltello, colpendolo sotto l’ascella e al torace; Matteotti spirò dopo un’agonia durata diverse ore; gli aggressori fecero sparire la sua borsa, nella quale erano contenuti documenti compromettenti per il regime, in particolare sull’affare “Sinclair Oil”.
Gli assalitori, dopo aver vagato per la campagna romana, verso sera raggiunsero la Macchia della Quartarella, un bosco presso il Comune di Riano, sito a 25 km da Roma, ove seppellirono il cadavere di Matteotti piegato in due. Quindi ritornarono a Roma e lasciarono la vettura in un garage privato; successivamente informarono i loro superiori e cercarono di nascondersi.
Due anni dopo, nei giorni 16-24 marzo 1926, si celebrò a Chieti un primo processo contro gli squadristi Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo, responsabili del rapimento e dell’omicidio di Giacomo Matteotti. Dumini, Volpi e Poveromo furono condannati per omicidio preterintenzionale alla pena di anni 5, mesi 11 e giorni 20 di reclusione, nonché all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, mentre per tale Panzeri, che non partecipò attivamente al rapimento, Malacria e Viola ci fu l’assoluzione. In realtà, gli imputati furono amnistiati grazie alla Legge del 31 luglio 1925, che dunque rimise in libertà gli assassini di Matteotti. In precedenza, il 3 gennaio 1925, Benito Mussolini si era assunto la responsabilità politica e morale del clima nel quale era stato compiuto l’efferato delitto.
Augusto Malacria, autista dell’auto con la quale fu rapito Matteotti, era nato a Caserta il 6 settembre 1888; libero per amnistia, pochi mesi dopo il processo, in data 25 agosto 1926, proveniente da Milano, assunse la residenza a Novi Ligure, in via Pietro Isola n.17. Malacria, fin dal 1917, aveva iniziato a Milano una relazione amorosa con Antonietta Dogali, nata a Novi ligure il 14 febbraio 1887 e ivi residente in via Solferino n.15. Entrambi lasciarono Novi il 4 novembre 1926 e richiesero la residenza a Roma.
Nel 1928 Malacria si trasferì in Cirenaica, seguito nel 1934 da Amerigo Dumini, il quale aveva minacciato di rivelare la verità sul delitto Matteotti e il coinvolgimento di alte cariche dello Stato; era stato colà inviato su proposta del potente capo della polizia Arturo Bocchini, considerato all’epoca il braccio destro del Duce. In Cirenaica, Dumini si diede all’attività di imprenditore agricolo e commerciale, ricevendo ingenti finanziamenti dal governo italiano, ammontanti, negli anni tra il 1935 ed il 1940, a più di due milioni e mezzo di lire (corrispondenti a oltre quattro miliardi di vecchie lire, 2.116.276 euro).
Dopo la Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo e la nascita della Repubblica, venne annullato il processo farsa di Chieti e fu celebrato un nuovo processo. Dumini, Viola e Poveromo furono condannati all’ergastolo, poi commutato in 30 anni di carcere, per Malacria, si ravvisò il non luogo a procedere a causa dell’amnistia Togliatti.
Ti è piaciuto questo articolo? Offrici un caffè con Ko-Fi
Segui il moscone su Telegram per ricevere una notifica ogni volta che viene pubblicato un nuovo articolo https://t.me/ilmoscone