Quante coincidenze tra la rapina di Casale e quella di Novi del ’55

A distanza di 68 anni, le somiglianze e le analogie tra  la rapina messa a segno contro la filiale di Casale  di Banca Intesa, scoperta il 20 novembre, e quella compiuta a Novi nella notte di Natale del 1955 ai danni della filiale della Banca Popolare di Novara. 

Sia a Casale che a Novi, i ladri hanno raggiunto la banca passando attraverso le gallerie delle fogne. Obbiettivo di entrambi i colpi la camera blindata dove sono custodite le cassette di sicurezza. Come  la Banca novese nel 1955, anche  la casalese oggi è restia a dichiarare cosa e quanto sia stato effettivamente rubato. 

Si tratta solo di coincidenze. Ma sono tante che è impossibile non collegare il colpo di oggi con quello di Novi, messo a segno dalla banda del “Re delle fogne”, Eugenio Porchetto, a cui ho dedicato una parte consistente di un mio libro uscito qualche anno fa (vedi nota in fondo). 

Sia la banda novese che quella casalese erano all’avanguardia della tecnologia. In quella di Novi venne usata, per la prima volta, la lancia termica: una attrezzatura  formidabile per il taglio dell’acciaio, usata nella seconda guerra mondiale per aprire bunker e carri armati e commercializzata solo a partire dagli anni ’60. A Casale  pare che la banda sia riuscita ad “hackerare” il sistema antifurto e disabilitarlo, in modo da agire indisturbati per tutto il weekend. 

La rapina di Novi a sua volta fu la copia di un’altra rapina, messa in atto dalla stessa banda, sempre approfittando della chiusura della banca per le feste natalizie. La prima rapina della banda del buco guidata da Porchetto ebbe luogo nella notte di Natale del 1927 e vide come vittima la banca commerciale di Genova. 

Per la rapina di Genova del 1927 Porchetto fu arrestato e condannato. Si guadagnò il titolo di “Re delle fogne” per la sua conoscenza del dedalo delle vecchie gallerie che corrono sotto Genova. Uscito dal carcere, per anni Porchetto tornò a scendere nelle fogne di Genova, alla ricerca di un tesoro  che aveva nascosto durante la fuga dalla rapina. Per assicurarsi una “rendita” anche in caso di arresto, Porchetto aveva  messo al sicuro murandolo nelle fogne uno  scrigno contenente perle per un valore, all’epoca, pari a 70 milioni di lire. Un valore enorme, che oggi sarebbe pari a circa 60 milioni di euro. 

Porchetto dopo la rapina del ’27 si comprò una villa a Nervi, ma non se la godette molto. Venne arrestato e condannato a sei anni di reclusione. 

Fu un Carabiniere più anziano in servizio a Novi che mise gli inquirenti sulla strada giusta. Quando si scoprì la rapina di Novi la memoria gli fece ricordare subito la rapina di Genova del ’27. Le indagini si concentrarono nella zona del porto di Genova e permisero  di arrivare a Cinzio Rabotti, spedizioniere e boss del contrabbando, che venne individuato come finanziatore dell’impresa e sorpreso  mentre in una villa a Chiavari cerca di svendere  180 milioni di titoli rubati  nella banca di Novi.

Assieme a lui vengono arrestati anche Giuseppe Ghiggi, lavorante portuale e uomo di fiducia del Robotti, già carcerato perché complice dell’assassinio della contessa russa Zarouska; Silvio Cavalli e  Aldo Bernocco, che operarono a Novi nei cunicoli.

Vengono individuati come membri della banda, nel 1956, anche Emilio Zai,  Giacomo Bisio e Serafino Macchiavello ma non è possibile arrestarli in quanto già deceduti: il primo per malattia (forse contratta nei cunicoli di Novi) e il secondo perché finito sotto un’automobile e il terzo, riportano i giornali dell’epoca, per prostata.

Al processo celebratosi in Alessandria vengono tutti condannati, ma per un vizio di forma vengono rilasciati (succedeva anche allora) e si danno latitanti. 

Il furto di Novi costò  anni di studio e lavoro: i ladri penetrarono nelle fogne in via Pietro Isola, all’altezza dei cimitero, entrando nella galleria che richiude il Rio Gazzo e passa sotto Novi. Raggiunto il centro storico, scavarono per metri fino ad arrivare sotto la banca che era all’incrocio tra via Girardengo e corso Marenco. Giunti sotto la camera blindata, con dei martinetti idraulici sollevarono il pavimento e con la lancia termica aprirono le cassette di sicurezza. Il bottino fu enorme: circa un miliardo e 700 milioni in valori e titoli (ad oggi, circa 1,5 miliardi di euro). 

La leggenda racconta che Porchetto, ormai troppo anziano per fare parte della banda d’azione sotterranea, avesse aiutato i ladri dalla superficie. Nei mesi precedenti al furto aprì un conto presso la banca novese, in modo da poter entrare tranquillamente. Si finse cieco, in modo da poter usare un bastone con cui colpiva il pavimento, guidando con il suono i lavori dei complici sottoterra. Una particolarità: Porchetto andava in banca con un completo  bianco: se non si vuol dare nell’occhio, bisogna essere appariscenti. 

Non tutto il bottino della rapina di Novi venne recuperato. Forse il Porchetto, come a Genova, ha murato anche nelle gallerie di Novi una parte del tesoro? All’epoca si parlò anche di monete d’oro o altri preziosi trafugati, ma non vennero mai trovate e la Banca Popolare non volle mai dire chiaramente, temendo tracolli, l’entità della rapina.

Il processo per la rapina di Novi si celebrò nel 1957 ad Alessandria. Giuseppe Ghiggi, Eugenio Porchetto, Cinzio Robotti, Silvio Cavalli, Aldo Bernocco, Giovanni Marzano

vennero  condannati ognuno a 7 anni di carcere e 70 mila lire di multa. Giuseppe Bogliolo,  componente novese della banda,  a 5 anni e 50mila lire di multa.  Anche Giacomo Blsio ed Emilio Zaio di  Novi non arrivarono vivi al processo. Pare che si fossero  ammalati per le condizioni di lavoro nelle fogne. La cronaca dell’epoca ci dà notizia di un altro novese componente la banda: tal Giovanni Marsano, irreperibile. 

Dopo il primo processo, per un vizio di forma, Porchetto venne  rilasciato e si rende ovviamente irreperibile. Nel 1959 fu ritrovato, accoltellato, su di una panchina davanti all’ospedale San Martino di Genova: i giornali dell’epoca riferiscono che è ormai impazzito, e che ha cercato di accoltellarsi da solo al ventre. Viene salvato dalle ferite e ricoverato in manicomio. Poi di lui sei perdono le tracce sulla cronaca dell’epoca. 

Fonti: L’audace colpo dei soliti ignoti e altre storie novesi – Andrea Vignoli – ed. Epoke 2015 –  ISBN: 978-88-98452-16-3

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andrea vignoli

Giornalista, scrittore, insegnante.

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