Fine degli anni sessanta del secolo scorso: in viale Saffi, davanti al Liceo classico, c’era una vecchia panchina. Nella bella stagione, specialmente la sera e fino a notte fonda, su quella panchina sostava un gruppo di giovani, il più anziano dei quali, forse, era Alberto: aveva una trentina d’anni, si era laureato tempo prima in Scienze Politiche presso l’Università di Genova. Tra quei giovani vi era anche chi, pur con idee politiche diverse, aveva battuto a macchina la sua tesi di Laurea.
I giovani parlavano e discutevano all’infinito, anche a voce alta; nessuno si sarebbe lamentato del gran chiasso, in quelle ore il gigante scolastico era disabitato.
C’era chi fumava distrattamente una Gauloises (la sigaretta del maggio francese), chi aveva sul viso chiazze di barba incolta alla Che Guevara, capelli lunghi arruffati e jeans scoloriti; non fosse stato per la stagione, avrebbe indossato anche un eskimo innocente (cfr. Francesco Guccini). Alberto, invece, vestiva sempre un abbigliamento impeccabile: camicia che pareva appena uscita dalla stireria, pantaloni con la piega … unica trasgressione, l’assenza della cravatta, che, con il caldo estivo, proprio non si poteva sopportare. Mai un capello fuori posto. Parlava sempre in maniera pacata. Alberto Masoero: era un giovane liberale, saldo nelle sue convinzioni che, forse, non coincidevano perfettamente con la politica del capo liberale dell’epoca, Giovanni Malagodi (presumibilmente gli andava un po’ stretta).
Parlavano, parlavano quei giovani, parlavano all’infinito, convinti di “poter cambiare il mondo”, per dirla con Gino Paoli. Parlavano di tutto: del mondo diviso in due blocchi contrapposti, della guerra in Vietnam, della Cina di Mao Tse Tung, dell’Unione Europea che non c’era, delle lotte operaie… La discussione era sempre civile, a volte si animava, qualche voce si alzava sopra le righe, per poi subito rientrare. Proprio in quegli anni Giorgio Gaber scriveva la canzone “Al bar Casablanca”, che sembrava composta osservando l’eterogeneo gruppo della panchina di viale Saffi; il cantante meneghino diceva infatti che al bar Casablanca si parlava di “rivoluzione e proletariato”, magari gustando un gelato.
Alle due, anche alle tre di notte, ognuno tornava nella propria casa (accolto da genitori allarmati per l’ora tarda), fermo nelle proprie convinzioni, tuttavia soddisfatto della discussione, anche se non aveva portato a nulla; ma, forse, qualcuno aveva contaminato qualcun altro, forse qualche ferrea convinzione si era leggermente scalfita. Come si dice da queste parti, ciascuno era entrato nella discussione “… boccia ed era uscito pallino”.
Nondimeno, tra il gruppo c’era sempre un grande rispetto, e non solo perché si era ricevuta una buona educazione, che non prevedeva una discussione politica fatta di insulti (o, peggio, di falsità che a volte trascendono sul piano personale) come, purtroppo, accadde oggi. Non c’era volontà di prevalere sull’altro, ma rispetto per le idee altrui; quei giovani erano animati dal desiderio di cercare la verità, una verità che, naturalmente, non dipendeva da loro. Erano tutti ben consapevoli che il futuro del mondo era nelle mani del Presidente degli USA Richard Nixon e del Segretario del Partito Comunista Sovietico Leonid Brežnev.
In seguito, Alberto Masoero lasciò Novi e divenne giornalista Rai, fino ad assumere importanti incarichi nel gruppo Fait. Però non lo abbandonò mai la voglia di discutere con chi la pensava in maniera diversa dalla sua: capitava spesso quando tornava in città. Lo si poteva anche incontrare in via Girardengo, in un crocchio stanziale davanti a “Carletto”, a dibattere della “sua” Juve, sempre impeccabile nell’abbigliamento, mai un capello fuori posto; dissertava con la consueta signorilità, senza mai trascendere.
Quella panchina in viale Saffi, davanti al Liceo classico, non c’è più.
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Un commento su “Una panchina che non c’è più”
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Di lui ho sempre apprezzato la signorilità , l’educazione e i suoi modi garbati anche nella discussione più accesa
E’ stato un amico dai tempi di quella panchina che non c’è più ma i ricordi li portiamo tutti nel cuore
Ciao Alberto!