Giovedì scorso al teatro Marenco, tipico teatro all’italiana e vero gioiello della nostra città, è andato in scena “Fine pena, ora”, spettacolo tratto dall’omonimo libro di Elvio Fassone, magistrato e già componente del CSM.
Lo spettacolo è la rappresentazione di una storia vera, ossia il rapporto sviluppatosi tra il magistrato e un ergastolano, nato durante il processo alla mafia catanese celebratosi nanti la Corte d’Assise di Torino negli anni 1990 ove il magistrato era il Presidente della Corte e l’ergastolano uno dei giovanissimi imputati del processo.
Molte sono le riflessioni sul valore riabilitativo della pena che ne derivano.
“Se suo figlio nasceva dove sono nato io, adesso era lui nella gabbia” sono le parole che l’ergastolano rivolge al giudice e che sono indicative di come alcuni modelli tipici della cultura mafiosa generino comportamenti deviati, basati sulla violenza e sulla intimidazione, a fronte dei quali il destino di un minore viene ad essere segnato fin dalla sua nascita, appartenendo egli a quei “maledetti” ai quali la vita riserva soltanto o “la tomba” o “ la galera”.
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” recita la nostra Carta Costituzionale – art. 27 – ma il precetto viene costantemente disapplicato dal nostro paese, ripetutamente condannato anche per violazioni alla CEDU: sul tema è intervenuta di recente anche la Giunta dell’Unione delle Camere penali italiane che ha evidenziato come nel nostro ordinamento si continui con l’introduzione di norme tipiche del populismo giustizialista e del diritto penale simbolico con le quali si persevera nell’affidare allo strumento repressivo penale la legittima richiesta di sicurezza della collettività, non adottando peraltro alcuna iniziativa per la salvaguardia della dignità dei ristretti e per la soluzione dell’annoso problema del sovraffollamento carcerario.
Lo spettacolo costituisce anche la terzultima rappresentazione del programma annuale del teatro Marenco,che così si avvia alla conclusione della sua terza stagione teatrale, che è stata di elevato livello, come le precedenti, e che vede sempre una nutrita partecipazione di pubblico.
Scarsa però la partecipazione di giovani. Quali sono le ragioni?
Da sempre amo ogni genere di spettacolo dal vivo e in particolare il teatro di prosa, complici forse i miei insegnanti del liceo e un assessore alla cultura del Comune di Novi Ligure, nonchè professore universitario presso l’ateneo genovese, che per avvicinare i giovani al teatro di prosa, aveva ritenuto di omaggiare le classi del triennio delle scuole superiori di due/tre abbonamenti alla stagione teatrale dell’epoca in corso e io, giovane studentessa liceale, fui tra i fortunati a poterne fruire.
Allora c’era il cinema teatro Italia e da Novi “passavano” le migliori compagnie di prosa e noi ragazzi abbiamo avuto l’opportunità di assistere a molte delle rappresentazioni che venivano in contemporanea portate in scena nei migliori teatri d’Italia.
Shakespeare, Goldoni, Pirandello, Moliere, Cechov sono alcuni degli autori “classici” di opere che sono state allestite nella sala Italia e alle quali noi ragazzi eravamo ammessi, così completando la nostra formazione e i nostri studi scolastici. All’epoca la sala Italia era sempre gremita di giovani. (e non solo)
La storia successiva che ha portato alla chiusura del cinema/teatro è nota a tutti.
Novi ha avuto a lungo la sola disponibilità del teatro ubicato all’interno del circolo Ilva, il Teatro Giacometti, cercando così di sopperire, non sempre tuttavia in modo soddisfacente, alle esigenze del “pubblico teatrale” che la città aveva sempre manifestato.
Le scuole novesi, come ad esempio il Liceo Amaldi, per consentire ai ragazzi di fruire di spettacoli teatrali di livello, hanno stretto accordi con il Teatro Nazionale di Genova e hanno avviato laboratori teatrali propri; per diversi anni il liceo Amaldi ha organizzato trasferte serali a Genova per gli allievi, per assistere agli spettacoli in cartellone, trasferte che mi risulta fossero molto frequentate dai ragazzi e ciò a riprova dell’interesse degli stessi per il teatro.
Oggi, che è stato completato il restauro del teatro Marenco, sarebbe forse il caso di pensare nuovamente a politiche teatrali per favorire la partecipazione dei ragazzi alla stagione teatrale, utili per completarne la formazione, come avvenne ai tempi del mio liceo, con proposte relative non solo ai grandi classici, ma anche alle tante voci di oggi che raccontano le mille sfaccettature del nostro presente.
Inoltre, sarebbe da valutare una proficua collaborazione con gli istituti superiori della nostra città sulla scia di quanto da anni fa il Teatro Nazionale di Genova.
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