La fine del buon senso

Inorridito dagli avvenimenti contingenti, affido a questa breve sintesi un momento di riflessione per capire cosa siamo diventati e se il buon senso è ancora una qualità di riferimento.

Che strano momento stiamo vivendo! Nel cuore dell’Europa divampano sempre più intensamente lembi di guerra; nel vicino Medio Oriente si è andati addirittura oltre: siamo alle ceneri. Bombe di inaudita violenza vaporizzano i corpi, con l’assurda giustificazione che, per liberare gli ostaggi, è necessario sterminare un popolo indifeso.

Nel primo caso, il buon senso vorrebbe che fosse auspicabile sostenere l’intervento dei mediatori diplomatici, per contenere le nefaste azioni della guerra o quantomeno per evitarne l’espansione e le conseguenze, che definire mostruose è un eufemismo.

Nel secondo teatro si propina la mediazione, ma sotto forma di farsa, nei continui tentativi di porre fine alle ostilità. Guai a parlare di genocidio. Il più attivo e influente mediatore è contemporaneamente sostenitore del conflitto e sostanziale parte in causa. Nel contesto reale, tende a far accettare alla parte soccombente condizioni talmente assurde da rendere impossibile la convivenza. Altro che pretendere la salvaguardia e la liberazione degli ostaggi.

Di fronte a questi apocalittici scenari, restiamo ciechi e silenti, sordi al grido di dolore di un intero popolo, addirittura indifferenti al mostruoso e sistematico massacro. Naturalmente, continuiamo ad armare i contendenti di riferimento, fino alla soluzione finale.

La classe dirigente appare pavida nel sostenere una forma di deciso biasimo, arrivando a ignorare le proteste di quella parte di popolazione che ancora non ha lasciato assopire la coscienza. Anzi, le azioni di protesta vengono contrastate con atti di repressione e argomentazioni, decisi a sostenere le azioni dei belligeranti, mitigando gli aspetti espliciti con l’arte della diplomazia.

Non è da meno il mondo dell’informazione, per lo più schierato, che propina quotidianamente notizie non confacenti alla reale attualità dei fatti, tralasciando l’approfondimento delle reali motivazioni e sostenendo non di rado effimere conclusioni.

E qui nascono degli interrogativi che menti non condizionate e dotate di capacità di discernimento propongono con logica razionalità e buon senso: quali sono effettivamente le ragioni o, meglio, gli interessi che intimidiscono una classe politica, rendendola riluttante e consenziente verso concetti che dovrebbero far emergere comportamenti almeno di umano buon senso?

La paura di perdere la posizione di potere, schierandosi contro volontà occulte che governano quello in cui tutto converge (la ricchezza), la cui gestione dà il potere di indottrinare le popolazioni e di far tacere chi si oppone.

Basta considerare fatti recenti del passato, dove illustri statisti sono stati oggetto di atti di terrorismo fisico e giudiziario.

La popolazione viene influenzata con la sottile arte della dipendenza, tenendola, a livelli progressivi quanto differenziati, in un perpetuo timore e incertezza che determinano insicurezza della loro condizione in seno alla società, accentuando gradualmente le condizioni di difficoltà, sia oggettive sia soggettive.

Evidente è l’inflazione strisciante, con la quale si tende a declassare il debito pubblico, mantenendo ferme le retribuzioni dei prestatori di manodopera e aumentando il costo di beni e servizi.

Lo scadimento dei servizi pubblici, come la sanità e la scuola, è inesorabilmente proiettato verso la privatizzazione in un contesto di neoliberismo d’importazione. Ciò determinerà un costo sempre più esorbitante per l’utente e l’emarginazione soggettiva di classi sempre più numerose verso l’indigenza.

Per le classi politiche, il contesto è ancora più selettivo: basta tenerle nel timore di perdere la posizione privilegiata e nella corruzione.

In tale contesto, le popolazioni vengono dirette come greggi verso l’ammasso, fino ad accettare come sbocco naturale anche il conflitto, con completa perdita della coscienza e inasprimento della solidarietà umana.

Quelli descritti possono apparire concetti paranoici, ma rifacendosi al detto del buon senso: “al peggio non c’è mai limite”, e ai fatti cruenti del passato, definiti terroristici, potrebbe essere un’occasione di riflessione nel contesto di vedere lo spettro del nostro futuro in un’ottica di assenza di umana coscienza e buon senso.

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Francesco Giannattasio

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