Successo del convegno promosso dai 20 x Novi sull’autonomia differenziata

Mercoledì 11 settembre scorso si è tenuto, presso la Biblioteca Civica di Novi Ligure, il Convegno Organizzato da 20 per Novi, sull’Autonomia Differenziata. C’è stata una partecipazione importante; il che non era scontato e ci auguriamo che sia di buon auspicio a un riavvicinamento delle persone alla politica. Perlomeno di quella politica vicino alla gente, come quella fatta dalle liste civiche.

Le relazioni del Prof. Renato Balduzzi -Ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università Cattolica di Milano- e del Vicepresidente del Consiglio Regionale Domenico Ravetti, hanno letteralmente “affascinato” e divertito, in alcuni momenti, il pubblico per almeno due ore.
Le conclusioni sono state tratte dal Consigliere Comunale di 20 per Novi Alessandro Reale, che ha terminato l’incontro raccogliendo i complimenti di tutti e il plauso del pubblico. Ve le riportiamo qui di seguito.

Il gruppo dei “20 x Novi” dopo il dibattito

“Le relazioni dei nostri ospiti che abbiamo seguito con tanta attenzione, ci portano inevitabilmente a chiederci “il principio di uguaglianza, cardine della nostra democrazia, quanto resisterà ancora sotto le picconate che arrivano da ogni dove, a volte anche dalle Istituzioni?
Ci chiediamo anche: “L’autonomia differenziata ora e il premierato nel futuro prossimo, segnano la fine della democrazia, almeno nei termini in cui la conosciamo oggi?”
La gestione del mondo si chiama politica e la nostra politica è basata sulla democrazia. Di conseguenza una buona gestione del mondo è correlata a una buona qualità di democrazia.
La democrazia però oggi è caduta in una trappola che la sta progressivamente portando a trasformarsi in altro da sé, impedendo una gestione avveduta e lungimirante del mondo ovvero lo scopo della politica.
La democrazia attuale cioè si allontana dall’essere un metodo mediante cui raggiungere lo scopo della buona politica (che è il governo secondo la logica del bene comune) e diventa sempre più un meccanismo fine a se stesso, un ritualismo che ha sempre meno a che fare con la vita reale i suoi problemi e che alimenta logiche di poteri e interessi privatissimi.
Al concetto di democrazia sono intrinseche due dimensioni strutturali e irrinunciabili: un procedimento formale e una serie di contenuti sostanziali.
Il procedimento formale è basato su libere elezioni a suffragio universale, decise dalla logica di maggioranza.
I contenuti sostanziali sono valori universali quali: Libertà, uguaglianza, sicurezza, pace, giustizia sociale, diritto allo studio, diritto alla salute, tutela dell’ambiente, crescita complessiva del livello di cultura della società attestato dall’indice di lettura e di compressione del testo, pluralismo dell’informazione, attuazione del volere della maggioranza e al contempo rispetto e difesa delle minoranze.
Il procedimento formale è lo strumento; i contenuti sostanziali sono il fine. In democrazia forma e sostanza sono sempre strettamente intrecciate, ma è il procedimento formale, se si vuole evitare il formalismo, a dover servire alla sostanza; non viceversa.
Sto dicendo che ben lungi dall’esaurirsi nel garantire libere elezioni, il senso della democrazia si compie quando si affrontano i problemi concreti dei cittadini e si promuove il bene comune realizzando i contenuti sostanziali richiamati poco fa. Solo così la forma è al servizio della sostanza. Se la forma cessa di essere al servizio della sostanza scade in formalismo: in una serie di astratte e costose cerimonie che servono solo a privilegiati protagonisti della politica ed a quelli che a vario titolo partecipano al loro allestimento e mantenimento.
C’è chi parla di scontro tra democrazia formale e democrazia sostanziale. Oggi la democrazia formale sta minacciando sempre più la democrazia sostanziale. E questa è la trappola in cui siamo caduti. La democrazia, cioè, sta distruggendo sé stessa; non è un problema solo italiano. Lo scrittore israeliano Amos Oz ha parlato di un crescente processo di infantilizzazione delle masse una diffusa malattia della sociale che cancella il confine tra politica e spettacolo, per cui la gente non vota più chi potrebbe governare meglio, ma chi emozione e diverte, perché questo oggi desiderano i più: essere emozionati e divertiti, come bambini nel paese dei balocchi.
La democrazia da qualche tempo è degenerata in populismo e continuando di questo passo si avvia a trasformarsi in oclocrazia. Per dire popolo il greco antico utilizza quattro termini: laòs, éthnos, dèmos, òchlos.
Laòs indica il popolo in senso generico; da qui vengono nel sostantivo “laicità” e l’aggettivo “laico”. Éthnos indica un popolo in quanto nazione, concepito nella sua differenza rispetto ad altri popoli; da cui vengono il sostantivo “etnia” e l’aggettivo “etnico”.
Dèmos designa anzitutto il territorio e poi la gente che vi risiede quindi la popolazione ordinata in assemblea è dotata di coscienza politica. Òchlos è la massa, il volgo. Non la plebe, ma la plebaglia rozza e spesso violenta a cui interessa solo cioè che romani chiamavano “panem et circenses”. Pane per tenere a bada la pancia giochi del circo per tenere a bada la psiche.
Ciò di cui l’òchlos si nutre si chiama populismo e il suo esito è quasi sempre la tirannide (ma forse più propriamente totalitarismo), come insegna la dottrina dei cicli costituzionali detta anche anaciclosi formulata da Platone (in Repubblica) schematizzata da Polibio (in Storie), ripresa da Cicerone (in La Repubblica) e poi da Machiavelli nel Rinascimento (in Istorie Fiorentine).
La democrazia, non solo in Italia, si avvia a essere oclocrazia. Forse in buona parte lo è già. Da qui scatta la trappola con la sua logica implacabile: noi non possiamo fare a meno della democrazia, ma non possiamo neppure continuare con questa democrazia che forse presto non sarà più tale, che forse già adesso non lo è più, perché il dèmos sta scomparendo e al suo posto arriva l’òchlos , una massa di gente sempre più lontana dalla cultura e sempre più fiera della propria ignoranza.
Non sono pochi segnali che mostrano il desiderio di fascismo che attraversa i nostri giorni: lo spregio della cultura e degli intellettuali, le spregio ancora più rabbioso della bontà e dei miti, la volontà di potenza praticata come volontà di prepotenza, l’estetica della trasgressione, l’irrisione delle istituzioni, il desiderio del pericolo e di tutto ciò che è estremo e smodato, la violenza gratuita contro deboli animali, la volgarità e la cattiveria del linguaggio.
Anche da questo si comprende che il fascismo ritorna. Però noi non possiamo vivere senza democrazia, perché una democrazia imperfetta e decadente come la nostra rimani sempre di gran lunga preferibile a una tirannide, fosse pure la più illuminata. Lo capì perfettamente all’inizio della nostra civiltà uno dei Sette sapienti greci per Periandro di Corinto (in I Presocratici): “La democrazia è migliore della tirannide”. E lo ribadì nel 1947 Winston Churchill con queste sue famose parole: “La democrazia è il peggior sistema di governo a parte tutti gli altri sistemi che sono stati sperimentati nel tempo”.
Ecco perché abbiamo il dovere civile di difendere la democrazia, in tutte le sue forme, in tutte le sue declinazioni, in ogni sede, senza compromessi; perché la democrazia è il bene più prezioso che dobbiamo consegnare ai nostri prossimi.

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