Claudio Ruax alla mostra dei pittori contemporanei novesi

Due saranno le opere di Claudio Ruax, artista di origini italo-argentine, esposte alla mostra collettiva degli artisti novesi contemporanei intitolata “Arte e pittori novesi oggi; mostra collettiva di pittura” che si terrà in via Girardengo a Novi Ligure, presso l’esercizio commerciale ex Gualco, dal 7 al 23 dicembre 2024.

Claudio Ruax nasce in Argentina, a Buenos Aires, nel 1967 ma abita in Italia dal 2003.

Dall’infanzia le arti figurative esercitano su di lui un’attrattiva forte: disegna, dipinge in ogni momento, osserva la realtà che lo circonda e le impressioni profonde, emotive ed esistenziali che essa esercita su di lui. Crescendo frequenta atelier, botteghe, esposizioni. Un giorno un amico, Moises Jelin, gli chiede di illustrare il suo “Residenze”, Libro di Poemi del 1987. Si laurea in giurisprudenza ma, successivamente, decide di intraprendere anche studi artistici per rispondere a quell’esigenza creativa che si fa sempre più forte e che culmina con la prima esposizione presso l’Instituto Ward di Buenos Aires nel 1990. Arriva in Italia nel 2003, frequenta ancora corsi di disegno e pittura. Nella 25^ Edizione del Concorso Nazionale di Pittura Contemporanea di Genova riceve un diploma come artista segnalato. Nell’agosto agosto 2020 espone nella mostra “Salotto d’Arte sotto le stelle” a Blevio sul Lago di Como. A Ramatuelle, nel golfo di Saint Tropez, nell’agosto 2020, allestisce la mostra personale “Claudio Ruax du Figuratif au Cubisme”.

Due sono le opere che Ruax porta alla collettiva novese di dicembre: “Appennino” “Bronze

Appennino” usa una tecnica mista, olio e gesso su tela, in cui la connotazione spiccatamente materica dell’ultimo Ruax fa spazio a una reminiscenza figurativa. A prima vista sembra di avere di fronte la sezione verticale di un vecchio albero: ai lati il gesso ha il colore chiaro del legno, su cui gli eventi atmosferici hanno lasciano i segni del tempo. Ruax applica un ritaglio di carta, quel collage che fu espediente dell’amata rivoluzione cubista, applica un pezzo di cartone raggrinzito alla Burri, il tutto per distruggere il nostro pregiudizio che quella superficie sia un piano sul quale scorgere la proiezione di un paesaggio. Il quadro è soprattutto un supporto di materia su cui si imprimono l’inconscio, la memoria e le tracce di un luogo.

Ma ecco che Ruax ci spiazza: il quadro ha un secondo livello di lettura in cui la superficie è effettivamente la rappresentazione di un paesaggio. Ai lati ci sembra di scorgere le sagome chiare e verticali di due alberi tra le quali, un’anima più scura è ancora materia, è ancora superficie legnosa fatta di tutti i colori del bosco autunnale ma che, ad uno sguardo più attento, delinea anche il profilo buio ed evocativo di un monte appenninico. Per Ruax il colore non è un repertorio già dato cui attingere meccanicamente, è un mistero che il pittore deve studiare e conoscere profondamente, una materia emotiva da creare ogni volta come un vero e proprio concepimento, in modo che ogni sfumatura rappresenti la quintessenza del soggetto. Qui ogni sfumatura di marrone e di giallo rappresenta “la castagna, il faggio, i funghi, il profumo di questo autunno che mi abbraccia”. Sembra di sentire l’odore umido dei boschi, il grigio della nebbia che avvolge “i monti che hanno visto il sole a occidente, il vento, le stagioni. Sulle pendici sono cresciuti i miei antenati, il richiamo dei loro passi è presente nel vento, nelle storie, nei torrenti”. 

Sono i cupi monti che circondano Rigoroso dove nacque il nonno del pittore, in seguito trasferitosi in Argentina. Durante la sua infanzia a Buenos Aires, Claudio Ruax leggeva il racconto “dagli Appennini alle Ande” di De Amicis, sognava un giorno di camminare su tutti i sentieri che aveva percorso il nonno.

Bronze” è ancora una tecnica mista, olio e acrilico su tela. Al centro la rappresentazione di una bandiera che richiama quelle dei monumenti equestri, con il loro panneggio al contempo dinamico e immobile, su cui si posa la polvere del tempo. “Banderas patrias, bandiere nazionali sventolano nel bronzo, cavalli ed eroi innalzano glorie nelle piazze della storia, bordi dorati forgiati dal tempo delle statue…”

Il fondo d’oro, che ricorda le rappresentazioni sacre medievali, è identità assoluta luce-spazio, lo sfondo nobile e luminoso dell’Essere che si fa più scuro ai bordi, dove termina l’apparire fenomenico delle cose e si ritorna al mistero dell’indistinto.

In mezzo allo spazio assoluto, privo di oggetti, il panneggio eterno della bandiera equestre ricorda il silenzio “metafisico” delle bandiere nelle piazze di De Chirico.

Un occhio affiora in alto dalla superficie aurea: è lo sguardo del cittadino comune, testimone silenzioso della storia rappresentata dalla bandiera, che lui non osserva da sotto, subendola, ma cui si pone sopra, in veste di protagonista.

Quando Claudio Ruax inizia a dipingere parte dal figurativo, tappa quasi obbligata per chi voglia rappresentare la realtà. Ben presto però sente il desiderio di andare oltre: in fondo l’artista non può essere solo una macchina fotografica, deve fare opere che ne rappresentino l’interiorità e la riflessione. 

Non è un caso che cominci a studiare Cezanne, la cui ricerca conterrà gli spunti per tutte le più innovative correnti artistiche del primo Novecento. Perché l’opera di Cezanne non cerca la riproduzione della realtà ma costituisce un’indagine quasi filosofica sulla struttura profonda dell’essere…ed è proprio quello che Ruax ricerca. 

Ripercorre il cammino dell’arte da Cezanne in poi, si immerge nel cubismo, analitico e sintetico, con una serie di opere bellissime cui viene dedicata anche una mostra.

Esplora l’astrattismo geometrico, l’importanza preminente della composizione pittorica, delle linee che guidano l’occhio e consentono di leggere il quadro come una storia, lo studio meticoloso dei segreti del colore.

Arriva il suo ciclo intitolato “Circus”. “Durante la mia infanzia a Buenos Aires – racconta– la televisione era in bianco e nero ma quasi ogni settimana arrivavano tanti circhi colorati che esercitavano su di me una grande attrazione”.

Si dice che il circo fu ucciso dalla televisione ma Ruax ci dimostra che seppe prendersi la sua rivincita. 

D’altronde il circo ha una storia rivoluzionaria e popolare. Con radici molto profonde che risalgono all’epoca romana, il circo moderno nasce alla fine del 700 dalla confluenza creativa del friulano, Antonio Franconi, e dell’inglese Philip Astley. Parigi diventò la capitale del circo che si affermò come spettacolo popolare sostituendosi al teatro e diventando uno dei più grandi generatori di archetipi nell’inconscio collettivo. Simbolo di libertà e vita nomade, di affrancamento dalle strette maglie delle convenzioni sociali e luogo di riscatto; rifugio degli ultimi, famiglia per chi era solo al mondo e che tutto il resto della società rigettava. Gusto per l’esotico, il difforme, l’acrobazia; forma organizzata di arte di strada in cui confluì la maestria del saltimbanco medievale e l’addestramento di animali. 

Nacque così il culto del circo nell’arte. Se già i veneziani nel 700 ne rimasero sedotti, esso ritornò con tutta la sua forza evocativa in Renoir, Chagall, Toulouse-Lautrec e Edgar Degas. 

Picasso, che per Claudio Ruax è un riferimento molto forte, diventò un indagatore seriale dell’arte circense, con i suoi arlecchini e saltimbanchi.

E’ tutto questo il “sommerso” che sta dietro a “Circus” : “quando i circhi ripartivano lasciavano dietro di sé pezzi di tendoni sporchi, elementi metallici arruginiti, cartelli sbiaditi”.

E’ la bellezza malinconica ed esistenziale della decadenza, che questi frammenti custodiscono e che Ruax indaga e riproduce sulla tela. Sono il rosso, il blu e il bianco, i colori in cui risuonano le storie dell’antica arte nomade. 

Ruax vuole riprendere queste forme e renderle più materiche, perché questo è il suo ultimo orizzonte di ricerca: la materia della cera, del gesso, della juta, da plasmare e su cui imprimere le tracce del tempo e della vita.

Dopo le vestigia dei circhi esplora la decadenza e le tracce di esistenza fissate sui vecchi muri. Le scritte, lo sporco, le parti scrostate che simboleggiano le grandi assenze nella vita di tutti noi.

Culmine di un percorso artistico che ricerca l’espressione delle realtà interiori più profonde e in cui i quadri sono come luminose apparizioni fenomeniche, archetipiche e dense di memorie, che affiorano dal buio e profondo mare dell’Essere.

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Marcus Risso

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