Carcere, basta suicidi!

Dal primo gennaio a oggi, nelle carceri italiane si sono suicidate 20 persone. È un dato allarmante che richiama l’attenzione su un problema che si trascina da decenni: il sistema penitenziario italiano continua a essere segnato da sovraffollamentocondizioni igienico-sanitarie precarie e una gestione inadeguata delle risorse umane ed economiche. A tutto ciò si aggiunge una crescente preoccupazione per la tutela dei diritti dei detenuti, il loro reinserimento sociale e la sicurezza del personale carcerario.

Uno dei principali nodi irrisolti è proprio il sovraffollamento. Secondo i dati ufficiali, il numero di detenuti supera regolarmente la capienza regolamentare degli istituti penitenziari. Le carceri italiane, progettate per ospitare circa 50.000 persone, ne accolgono spesso oltre 60.000, con un tasso di sovraffollamento che supera il 120%. Questa situazione comporta una drastica riduzione degli spazi vitali, difficoltà nell’accesso alle cure mediche e un generale peggioramento della qualità della vita.

Le condizioni igienico-sanitarie rappresentano un altro aspetto critico. Molti istituti presentano gravi carenze strutturali: celle sovraffollate, scarsa ventilazione e impianti fatiscenti. L’accesso alle cure mediche è limitato, con pochi medici e psicologi per un numero elevato di detenuti. La pandemia da Covid-19 ha aggravato ulteriormente la situazione, evidenziando la fragilità del sistema sanitario penitenziario.

Particolarmente preoccupante è la questione della salute mentale. L’isolamento sociale, le condizioni di detenzione e la carenza di supporto psicologico contribuiscono a peggiorare lo stato emotivo dei reclusi, con conseguenze tragiche come i suicidi. Anche il personale penitenziario opera in condizioni di forte disagio: gli agenti sono spesso in numero insufficiente, i turni di lavoro sono pesanti e la formazione per la gestione di situazioni critiche è carente. Tutto ciò compromette la sicurezza e alimenta episodi di tensione, conflittualità e, talvolta, violenza.

Eppure, l’obiettivo del sistema penitenziario, come sancito dall’articolo 27 della Costituzione, dovrebbe essere la rieducazione e il reinserimento sociale. Invece, le carenze strutturali e organizzative ostacolano la realizzazione di percorsi efficaci di riabilitazione. Il tasso di recidiva in Italia resta altissimo: oltre il 60% dei detenuti torna a delinquere dopo il rilascio. Questo dato dimostra che la detenzione da sola non basta. Servirebbero investimenti concreti in formazione, lavoro e supporto psicologico per promuovere un vero cambiamento.

Una via possibile è l’ampliamento delle misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità. Questi strumenti, già previsti dalla legge, potrebbero essere applicati in modo più esteso per pene brevi o per persone che non rappresentano un pericolo per la società. Spesso, infatti, il carcere non fa che aggravare la marginalità, mentre percorsi alternativi potrebbero favorire un autentico recupero.

Negli ultimi anni si è molto discusso della necessità di una riforma profonda del sistema penitenziario, ma le azioni concrete sono rimaste limitate. Il carcere non può essere soltanto un luogo di punizione: deve diventare uno strumento di riabilitazione e reinserimento sociale. Per riuscirci, serve un cambiamento di prospettiva, con investimenti adeguati e un’attenzione seria ai diritti umani. Solo così si potrà costruire un sistema più giusto ed efficace, capace di garantire sicurezza senza dimenticare la dignità delle persone detenute.

Robbiano Laura – PRC


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Laura Robbiano

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