Storia: quando i bambini di Gomel arrivarono a Novi

Era l’una e ventitrè minuti del 26 aprile 1986 quando si verificò il primo gravissimo incidente nucleare della storia, più conosciuto come disastro di Chernobyl, città all’epoca facente parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche; dopo il dissolvimento dell’Urss nel 1991, oggi è città della Repubblica indipendente Ucraina. Chernobyl è situata a circa 130 km a nord di Kiev. 

Alla base del disastro, si disse, un errore umano che causò tra 200 mila e i 350 mila sfollati, 64 morti legati direttamente all’incidente e migliaia di casi di malati oncologici nei mesi e negli anni successivi, come riportato nel rapporto del Chernobyl Forum redatto da agenzie dell’ONU.

Le aree maggiormente colpite dalle radiazioni furono quelle più vicine all’Ucraina: la Bielorussia e la Russia e paesi dell’Europa orientale come la Polonia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia. Tuttavia, anche nazioni più lontane, come la Scandinavia, il Regno Unito e l’Italia, furono interessate dalla contaminazione radioattiva.

Tra le zone colpite vi era Gomel, città della Bielorussia che in linea d’area dista circa 139 chilometri da Chernobyl (per percorso stradale dista poco più di 195 chilometri). 

Il rischio di contaminazione di quella popolazione era dunque reale.

Nell’anno 1990, l’allora governo sovietico riconobbe la necessità di assistenza internazionale. Nello stesso momento, l’Assemblea Generale adottò la risoluzione 45/190, chiedendo “cooperazione internazionale per affrontare e mitigare le conseguenze della centrale nucleare di Chernobyl”.

Passarono altri quattro anni e, nel 1994, a Novi Ligure fu attivato il “Progetto Cernobyl”promosso dal Consiglio Regionale del Piemonte, che ebbe un suo sviluppo anche nel basso Piemonte. Nello specifico il progetto nell’area fu ribattezzato “Gomel” con il nome della città che avrebbe inviato bambini, dell’età tra i 7 e i 14 anni colpiti dalle radiazioni, da ospitare in loco per un mese presso famiglie dell’area. Scopo del progetto era migliorare lo stato di salute dei bambini, grazie al soggiorno estivo in un ambiente salubre e una alimentazione sana e diversificata. Il progetto era stato promosso dall’allora Sindaco di Tortona, Fabrizio Palenzona, al quale aveva aderito anche il Sindaco di Novi, Mario Angeli. Responsabile del progetto era Sandra Mantero, operativamente assistita da Lorenzo Scotto e da altri volontari, tutti della Croce Rossa novese, con la collaborazione di altre associazioni di volontariato locali.

Il primo viaggio dei bambini

Il primo arrivo di una trentina di bambini a Novi, con tre accompagnatrici Larissa Bogomaz, Maria Bogomaz e Elena Deschenia, fu, non senza difficoltà, il 5 luglio 1994. Un viaggio allucinante in pullman, oltre 2.300 chilometri, durato tre giorni e tre notti.

I bambini del primo viaggio.

Quel giorno tutto era pronto, molte famiglie novesi, una quarantina, avevano risposto all’appello degli organizzatori mettendosi a disposizione per ospitare i bambini presso le loro abitazioni, il gruppo promotore aveva anche predisposto l’organizzazione di attività comuni, del tempo libero e sulla attività linguistica. Al termine del soggiorno fu riscontrato che i bambini avevano tratto beneficio per la loro salute e quindi il progetto doveva continuare anche negli anni successivi. La Sindaca di Gomel in una lettera datata 26 agosto 1994, ringraziava gli organizzatori.

Lettera di ringraziamento del Sindaco di Gomel. 1994.

Il secondo viaggio a Novi

L’anno successivo il viaggio fu in aereo con atterraggio a Falconara Marittima e trasferimento a Novi in pullman. Da quell’anno tutti i viaggi furono in aereo, grazie ai fondi di solidarietà raccolti dalle Associazioni locali attraverso sottoscrizioni pubbliche e, nel tempo, dall’Associazione Olga Samoussenko nata anche per supportare quei bambini. L’associazione fu poi trasformata in Fondazione e si occupa tuttora dei bambini colpiti da leucemia.

L’intervista

Quei bambini oggi sono diventati adulti, qualcuno è tornato nel paese di origine, altri sono in Italia. Ne abbiamo intervistato uno.

Che ricordi hai di quel viaggio (per la cronaca quello del 1995)? Cosa vi hanno detto per convincervi a venire a Novi?

In realtà ci dissero che saremmo andati in vacanza in Italia, ovviamente non avevano coscienza degli obiettivi terapeutici di quel viaggio. Ci dicevano che i bambini che erano già stati a Novi erano stati bene, si erano divertiti, avevano visto tante cose belle e avevano ricevuto tanti regali. Io avevo nove anni.

Che effetto vi ha fatto lasciare Gomel e le vostre famiglie?

Forse non ci rendevamo conto di quanto era accaduto in quella centrale nucleare, quello che ricordo è che ci avevano detto che avremmo fatto un mese di vacanza in Italia”.

Qual è la prima cosa che ricordi di aver visto arrivando a Novi?

Da subito mi hanno colpito le case, l’ambiente così diverso dal grigiore dei palazzi, tutti uguali, di Gomel”.

L’accoglienza è stata buona ma non conoscevo l’italiano. Quando siamo arrivati in piazza XX settembre, davanti alla sede della Croce Rossa, eravamo tutti stanchi, sentivamo la voce di quella bella signora ma non capivamo il significato delle parole, ma c’erano le nostre accompagnatrici che, piano, piano, traducevano in russo quanto Sandra Mantero diceva. Eravamo ansiosi di conoscere le famiglie alle quali eravamo stati assegnati. Ci misero subito a nostro agio, qualcuno in attesa del nostro arrivo imparò il russo e quindi tutto era più facilitato, pur con qualche problema. 

Ci riempivano di attenzioni. Si apriva un mondo nuovo tutto da conoscere. Abbiamo trascorso quei trenta giorni del 1995, conoscendo Novi e il novese, ci hanno portati ad alcune feste, ci portavano alla piscina comunale, siamo stati all’Acquario di Genova e ad altre feste in città, facevamo gite nella zona. Quel viaggio ha cambiato la nostra vita”.

E il ritorno a Gomel?

Beh, tornavamo dai nostri genitori, dagli affetti famigliari, quindi non potevamo che essere contenti, ma lasciavamo tante cose belle, cose che a Gomel non c’erano. Lasciavamo gli affetti delle famiglie che ci avevano adottati in quel periodo, ma avevamo avuto la promessa che l’anno successivo saremmo tornati e questo ci rinfrancava. Durante i mesi successivi ci furono scambi epistolari. 

La scelta di rimanere a Novi

Raggiunta la maggior età, eravamo in grado di scegliere il nostro destino e alcuni di noi scelsero di venire definitivamente in Italia, dove frequentammo le scuole italiane, poiché gli studi fatti in Bielorussia non erano riconosciuti dalla legge italiana, altri scelsero di andare a lavorare”. 

Qualcuno di voi è più tornato a Gomel?

Certamente, là abbiamo ancora la nostra famiglia naturale, ma, personalmente, non ho nostalgia di quei luoghi. Ora con la guerra tra la Russia e l’Ucraina e le relative sanzioni, non è facile raggiungere la Bielorussia, ma non si dimenticano le proprie radici”.

Cosa resta di quel primo viaggio del 1995, siete rimasti in contatto con i compagni di avventura?

Con alcuni è rimasto un buon rapporto, qualche volta ci sentiamo, con altri ci incontriamo.

Cosa mi resta di quel primo viaggio? Non posso dimenticare l’affetto ricevuto dalla famiglia adottiva. Non posso dimenticare il primo impatto avuto con Novi, in quella piazza semibuia dove ha ancora sede la Croce Rossa e l’ansia di dover scoprire qualcosa di nuovo, che non conoscevo. Se siamo vivi lo dobbiamo anche a quei viaggi, del cui scopo terapeutico, noi bambini, eravamo all’oscuro”.

Lorenzo Robbiano

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