Ieri, domenica 14 marzo, si è tenuta l’assemblea nazionale del Pd che ha eletto Enrico Letta segretario: è stata una riunione per certi aspetti strana non per l’ordine del giorno, purtroppo è cosa nota che il PD abbia dovuto eleggere più di un segretario in emergenza tramite il suo parlamentino, stavolta però è diverso. Da Franceschini, quando si dimise Veltroni, a Martina, dopo le dimissioni di Renzi dopo la sconfitta del 2018, si è fatto ricorso a reggenti che avevano il compito di condurre il Partito ad un congresso anticipato, l’elezione di Letta è differente: è un segretario non solo nel pieno delle sue funzioni ma che potrà guidare i democratici fino alla scadenza naturale del mandato nel 2023. È stata anche la prima volta di un segretario eletto on line e anche questa è una novità su cui fare qualche riflessione.
Ammetto che la partecipazione mediata dallo schermo, a distanza, tolga alcuni aspetti di una “liturgia” che per chi fa vita di partito è molto più di un aspetto romantico: il viaggio da fare con i compagni del territorio con interminabili discussioni sulla fase e sulla linea, la registrazione che era la scusa per incontrare i militanti delle altre regioni e qualche vecchio amico, il caffè e i capannelli nei corridoi prima di cominciare. Non credevo che mi sarebbero mancati così tanto, ma la pandemia finirà e torneranno anche questi piccoli riti.
Il cuore dell’assemblea, al netto degli adempimenti burocratici in apertura, è stato il discorso di Letta, che ha restituito un’idea precisa di come il neo-segretario intenda società, Partito e alleanze. Aveva già il mio voto in assemblea, ma ha conquistato la mia “passione”. L’ho trovato poco retorico e molto concreto; preciso, puntuale nell’individuare sfide esigenze e necessità dell’azione politica dei democratici: questione ambientale, Europa sociale, politiche legate alla lotta alle disuguaglianze e alla crescita, partito della prossimità che è la realizzazione del “prima le persone” voluto da Zingaretti, riforme istituzionali che curino un trasformismo plastica rappresentazione della crisi della nostra democrazia, la partecipazione giovanile e di genere come sfida per la rigenerazione del Pd, coinvolgimento della base attraverso i circoli. Ho trovato importante la presa di posizione sulla necessità di non tenere il Partito isolato e privo di alleanze, ma impegnato nella costruzione di un nuovo Centrosinistra che abbia il suo perno nel Pd e che sappia costruire una interlocuzione con i 5stelle guidati da Conte.
Una considerazione particolare la merita il passaggio in cui ha sancito il rifiuto dell’idea del Pd come “protezione civile” che debba stare al governo a prescindere, per costruire il profilo di un Partito che debba aspirare a governare, vincendo le elezioni, sulla base delle priorità e delle proposte che ne determinino il profilo, mi ha ricordato i tanti inviti al coraggio di Emanuele Macaluso.
Infine, la ricerca della verità tra di noi mettendo a nudo l’intollerabile esasperazione del correntismo sclerotizzato.
Questi ultimi due passaggi legati alla sfida del Pd come partito delle e dei giovani, confesso, mi hanno appassionato: abbiamo bisogno di rendere evidente la nostra volontà di cambiare, di non essere una federazione di consorterie impegnate nella ricerca del potere per il potere. La forza di queste parole la misureremo nell’ascolto che verrà dato alle strutture di base a partire dalle prossime due settimane in cui verranno, anzi verremo, coinvolti (per poi farne una restituzione in un’assemblea nazionale con spazio ad interventi del territorio) e nella capacità dei capicorrente di rimanere coerenti alla votazione che hanno compiuto facendo diversi passi indietro in modo che il Partito ne faccia uno deciso nella direzione di un partito che sia plurale ma senza “correntismo al napalm”.
La relazione programmatica del Segretario Letta ci dice che noi democratici abbiamo un ruolo nella società: siamo quelli che devono stare dalla parte di chi è il difficoltà, siamo quelli che devono accorciare la distanza tra centro e periferia, siamo quelli che devono stare dalla parte del lavoro e dei diritti.
Dobbiamo smettere di essere il rimpianto di quello che non siamo stati per cominciare ad essere speranza di cambiamento essendo “progressisti nei valori, riformisti nei metodi e radicali nei comportamenti”.
Giordano Otello Marilli – coordinatore novese del Pd e membro dell’assemblea nazionale
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