Il fantomatico salvataggio del Cit

Seguo con particolare attenzione le vicende del Cit, avendole vissute come membro del consiglio di amministrazione, con la presidenza di Romano Cabella e quella del dottor Federico Fontana.

L’assessore leghista ha messo a punto il piano di salvataggio per l’azienda di trasporto locale. Il consiglio comunale lo ha approvato, con l’astensione della minoranza e la contrarietà dell’esponente dei cinque stelle. A sentire le argomentazioni, sembra che questa, sia l’ultima possibilità per evitarne il fallimento, sorvolando sulle perplessità espresse dai tecnici comunali che mettono in evidenza una serie di incongruenze, sulle quale la corte dei conti potrebbe muovere delle obiezioni se non addirittura degli addebiti sui consiglieri che lo hanno approvato.

Sul caso è stata posta notevole attenzione dalla stampa locale che però non è entrata nel merito operativo della questione se non che la base principale per la riuscita del piano è l’acquisizione dell’85% da parte di un fantomatico imprenditore privato, di indubbio valore e lo spezzettamento dell’azienda.
La stessa intervista del dottor Fontana, personaggio noto al pubblico locale, avendo ricoperto la carica di assessore al bilancio con fama di grande esperto in questione di imprenditoria, supportato anche dall’ esperienza di ex dirigente del Cit nel momento di massima espansione, non lascia trapelare nulla di più se non fumose elucubrazioni.
Sono perplesso. Appare che il successo del piano di salvataggio dipenda tutto dalla fantomatica ditta , di grande esperienza e capacità, la quale, ha dimostrato un accattivante interesse nel subentro della gestione e mi chiedo in che modo può gestirla, garantendo tutti i servizi attuali, assicurando l’attuale occupazione e salvaguardare la percentuale di utile d’impresa, nella complessità di un bilancio positivo?

È risaputo che imprese di questo genere sono di per sé passive, in quanto svolgono un servizio sociale scarsamente remunerativo, ed una parte delle passività vengono coperte dal pubblico, a prescindere dagli sprechi, condizione cronica nella gestione pubblica.

Quindi la domanda che viene spontanea è: come questa fantomatica ditta intende organizzarsi e da dove provengono le risorse necessarie per garantirne la funzionalità?
Siccome nessuna impresa privata è demente fino al punto di auto suicidarsi, è scontato che l’ente pubblico dovrà finanziarla, assunto che i guadagni sono insufficienti e non coprono nemmeno la metà delle uscite. Dove sta il salvataggio?

Sta forse nel metodo? Le passività anziché impiegarle per l’impresa pubblica, vengono dirottare ad un’impresa privata, camuffando la voce di ripianamento con quella di contributo alla viabilità?

Mi sa che ci troviamo di fronte alle solite grande idee , dei grandi economisti, talmente grandi che hanno portato il paese alle soglie di un fallimento nazionale; tanto i soldi di tutti sono come i soldi di nessuno e danno l’illusione che non devono finire mai. Sprecarli o camuffarli è ritenuto, dai fenomeni, normale amministrazione. Se infine si coinvolgono i privati, magari con quelli che si ha un rapporto di affinità può essere altamente redditizio. Sempre salvando la buona fede. Ma se esaminiamo gli intrallazzai della sanità ci rendiamo conto di come il privato sia vorace e sopratutto come sia comodo gestire un’azienda con contributo assicurato, basta ridurre gli sprechi, limitare i servizi all’indispensabile ed il reddito è assicurato . 

Riqualificare un’impresa con una ristrutturazione accorta , alleggerendola di sprechi e di servizi superflui , adeguandola ad un disponibilità compatibile, deve essere impresa non redditizia sotto il profilo della propaganda elettorale?

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Francesco Giannattasio

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