Le vicende del Cit sembrano diventate come una telenovela, ma sono una tragica realtà, come lo sarà la probabile perdita del posto di lavoro per molti e sullo sfondo una richiesta di fallimento. Ma come siamo arrivati a questo punto? Proviamo a fare una sintesi per capire che ginepraio ha determinato l’attuale conduzione leghista.
Partiamo con la sostituzione dell’amministratore unico: prende un militante, Francesco Bonvini, il primo dei non eletti della loro lista , dipendente pubblico, e lo si mette a dirigere l’azienda consociata dei trasporti locali ed extraurbani. Non è dato sapere, se è in possesso o meno del bagaglio di conoscenze tecniche giuridiche necessarie per gestire una società consortile di articolata complessità e in difficoltà a seguito della legge della riforma Madia.
So per certo che le funzioni dell’attività dipendente è limitata al compito da svolgere con responsabilità individuale, delimitate in un percorso guidato e programmato. Difficilmente chi possiede specifiche capacità manageriali vi si adatta. Appena insediatosi , in attesa del necessario consenso dell’ente di appartenenza, si trova a fronteggiare situazioni difficili quanto complesse. Per comprenderne la composizione, ricorre alla consulenza di esperti.
Ma non lo fa ufficialmente con un capitolato d’incarico che prevede specifici quesiti e adeguata retribuzione. Lo fa, nel modo cosi detto bonario nella forma, ma incauto nella sostanza, dal momento che consente ai professionisti interessati di esaminare la documentazione inerente e con la promessa di disponibilità di assunzione nei quadri dirigenziali, appena la sua posizione diventata definitiva.
Qui ci troviamo davanti al grottesco, se l’amministratore unico si è reso conto di non avere le conoscenze necessarie e quindi di avere bisogno di ragguagli, consulenze e chiarimenti non disponibili nella struttura aziendale, non doveva far altro che, incaricare ufficialmente e, per prudenza, inserire una clausola a salvaguardia della sua posizione ancora incerta.
Invece da corso al percorso , addirittura con promessa di assunzione… ma ci rendiamo conto?
Venuto a mancare il nulla osta e quindi costretto a rinunciare alla carica, i professionisti hanno presentato la richiesta degli onorari ed a nulla è servito il pagamento delle spese per l’esecuzione dell’incarico effettuato, privatamente con risorse personali dal dirigente.
Viene poi nominato l’attuale sostituto, Silvio Mazzarello. Costui, proveniente dal settore privato, quale gestore e comproprietario di una azienda di trasporti nella quale si dovrebbero palesare naturali capacità manageriali e tecniche e data la notorietà del soggetto, le attitudini necessarie a dirigere la società, non appaiono in discussione, almeno per il momento.
Trova, come il precedente , la società in gravi difficoltà, carenza di liquidità economica con il blocco della erogazione degli stipendi .
La richiesta dei professionisti, si presenta nel momento meno opportuno, deve apparire una questione secondaria , di poco importanza e non trovando nessuna documentazione che la legittimi la respinta, innescando azioni contro reazioni e perfino un esposto alla guardia della finanza.
A complicare la situazione si inserisce un’istanza di fallimento e dal decreto di citazione non risultano i richiedenti ed al momento dell’audizione in commissione consigliare. L’amministratore dichiara di non conoscerne i nominativi. L’istanza comunque attiva l’Autorità Giudiziaria, che da corso all’iter per le decisioni in merito.
Qui nascono tutta una serie di dubbi e interrogativi che inducono ad alcune considerazioni:
a) I professionisti, incaricati , hanno presentato una relazione delle loro esplicitazioni che giustifichi la richiesta di remunerazione? E in che modo sono stati esaustivi rispetto ai quesiti ? I quesiti medesimi, anche se chiesti in via bonaria, sono confacenti alla situazione critica della società?
b) La strada per arrivare ad una richiesta di fallimento non è un’azione “presto detto, presto fatto”, vi è tutta una procedura, piuttosto complessa ma necessaria, prima di arrivare alla messa in mora del debitore e non è un percorso ne breve ne facile.
c) il creditore deve indubbiamente dimostrare di essere titolare del preteso e non soltanto esibendo un documento contabile fiscale (parcella fattura) ma con prova provata di averne tutti i diritti e di aver bene e diligentemente ottemperato alle sue mansioni, nell’esclusivo interesse della parte committente.
d) L’amministratore unico, ha considerato quanto sopra esposto? Di fronte a una eventuale forma di giustificato addebito, ha usato il buon senso e prudenza per un tentativo di conciliazione bonaria? Se diversamente si è riscontrato una parvenza di indebito arricchimento o illeciti, ha attivato le azioni legali?
Infine per mettere in atto una istanza di fallimento di una società pubblica, ci vogliono buoni avvocati, ed è perlomeno sospetto che i pretendenti creditori siano rimasti sconosciuti… Sembra una favola. Che i professionisti siano i promotori dell’azione fallimentare per un compenso che comunque suscita dubbi ed incertezze è difficile da credere, associarla alla virulenza orale con cui sono stati attaccati i funzionari comunali, dall’assessore al bilancio nel consiglio comunale, appare inverosimile.
I funzionari e sopratutto il segretario generale sono preposti a garantire un insieme di regole che hanno come riferimento la legittimità stabilite delle per legge delle delibere e se hanno espresso parere negativo al metodo di cessione delle quote comunali, aumenta l’incertezza, genera perplessità ed anche sconcerto.
Come disse qualcuno molto potente, a pensar male si fa peccato ma a volte ci si azzecca. Non è che la frettolosa volontà con cui si è presentato la cessione al probabile socio privato, guarda caso salta fuori, mentre è in atto una istanza di fallimento? Non è che si cerca di far passare in sordina un disegno di diversa natura? E’ anche l’arrivo di questo super assessore il cui comportamento comincia a destare interrogativi?
Ci vuole una forte motivazione per contestare il segretario comunale, voluto dal sindaco , e funzionari preposti. Queste motivazione sono oggettive o soggettive? C’è di che riflettere.
Immaginiamo che l’azienda venga ceduto dopo essere stata dichiarata fallita: viene acquisita per un tozzo di pane e non si ha nessun obbligo vincolante verso le maestranze. Per chi la rileva è l’affare della vita. Questa amministrazione, da la sensazione di un esercito d’invasione che si arroga del diritto di occupare tutto l’occupabile e non come subentrante amministratori dei beni comuni. Beni che vanno comunque salvaguardati e rappresentano il patrimonio di tutti. Pende ancora la querelle dell’ex assessore Cuccuru che in questo contesto può indurre a interpretarla sotto una diversa angolazione: licenziato per disaccordo con la linea politica del sindaco o perché eccessivamente esperto? Profondo conoscitore della macchina comunale e dal forte carattere con il quale l’assessore avrebbe dovuto confrontarsi. Poteva essere un ostacolo non facilmente superabile? Comunque sia, non è finita, la commedia tragicomica del CIT continuerà con la probabile distruzione della medesima come azienda pubblica e spese da ripianare e servizi trasporti da sovvenzionare o da scaricare sugli utenti. Certo i disagi vengono anche da lontano, bisogna riconoscerlo, coinvolgono anche le precedenti amministrazioni.
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