Articolo Uno: le nostre proposte per una Sanità Pubblica nei territori marginali

L’obiettivo deve essere quello di assicurare ad ogni cittadino lo stesso livello di servizio preventivo, curativo e riabilitativo su tutto il territorio nazionale, indipendentemente che viva in aree metropolitane o in aree periferiche e marginali. In questo documento affrontiamo il problema delle provincie, in particolare del sud Piemonte, gravate da situazioni problematiche che hanno un ascolto variabile in base alla “forza politica” espressa dai singoli territori piuttosto che dalle esigenze e necessità dei territori stessi. Purtroppo questo è il criterio prevalentemente usato perché non sarebbe diversamente spiegabile come mai se la media, in questo caso dei due polli, piemontese di ospedali per popolazione vede esistere una struttura ospedaliera ogni 81.000 abitanti circa e invece in alcuni territori, come quello astigiano, esistono un solo ospedale ed un solo pronto soccorso per circa 220.000 residenti.
Partendo da una condizione generale che accomuna tutte le aree potremmo avanzare la proposta di sostituire i criteri per la localizzazione di strutture e servizi fin qui basati sulla “densità di popolazione” (strutture e servizi per numero di abitanti), con criteri di “capillarità e di accessibilità”. I tempi di intervento devono essere tarati al minimo sulla reale accessibilità dei servizi.
Priorità ai servizi di primo intervento con una rete sul territorio in grado di percepire le esigenze e di rispondere in modo puntuale e continuativo.
Quindi “sportelli di ascolto e presidio” per monitorare il livello della salute fisica e psichica e “sportelli di accompagnamento e di guida alla burocrazia” in persone tecnologicamente più fragili o in territori carenti di reti informatiche e di copertura internet.
Solo una organizzazione territoriale unica e così strutturata, potrà garantire una programmazione di Piani Sanitari che partano dalle reali condizioni dello “stato di salute psicofisica” delle popolazioni, e non inventati a tavolino secondo indirizzi teorici se non impostati su criteri esclusivamente ragionieristici di riduzione dei costi a breve o peggio.

Importanza delle strutture e del personale specializzato.

Una rete di strutture semplici ma coordinate devono essere distribuite sul territorio anche considerando i presidi tipicamente sanitari (Case della Salute e Ospedali di Comunità.
Le Case della Salute dovranno avere una definizione chiara e univoca per tutte le realtà territoriali e non soggette, nei contenuti, ad interpretazione variabile da zona a zona come avviene ora.
Dovrebbero essere strutture che offrono innanzitutto una buona presenza della sanità di base, che mettano a disposizione dei medici di famiglia degli ambulatori dove possono ricevere i pazienti con un buon servizio di segreteria gestito da personale adeguato per il rilascio di prenotazioni, esiti degli esami ed impegnative per i medicinali. Uffici e segreteria devono essere ASL e non di centri privati
Devono essere presenti ambulatori per visite specialistiche, consultori, centri di ascolto e, non ultimo in ordine di importanza, ambulatori per i prelievi per analisi che possano garantire servizi rapidi. Dove esistono così strutturate, funzionano egregiamente e forniscono anche un buon esempio di collaborazione con strutture private.
Gli Ospedali di Comunità devono essere dotati di strutture di primo livello certamente, ma ad alta capacità diagnostica H24 per permettere l’avvio immediato, tramite elicottero, ai centri di alta specializzazione. Per questo serve una disponibilità di personale medico e infermieristico che, adeguatamente formato e motivato, faccia servizio a rotazione tra ospedali e Pronto soccorso del capoluogo e quelli periferici per garantire ovunque la migliore professionalità. Quindi devono essere dotati di tutti i reparti salvavita per garantire un Pronto Soccorso adeguato e specializzato. Comunque devono insistere strutture territoriali in grado di garantire quantomeno un servizio di Primo Intervento, che lavori in H24
Più che Ospedali di Comunità li chiamerei Ospedali di Territorio, che solo implementando competenze potranno svolgere efficacemente anche azione di riabilitazione e di assistenza post acuzie domiciliari, di hospice e un servizio di day hospital per interventi chirurgici minori come ernie, appendiciti, rimozioni di cisti ecc. ecc. che oggi contribuiscono ad intasare la già scarsa capacità ricettiva degli ospedali centrali.
Per reggere una simile organizzazione occorrono figure operative qualificate e a formazione continua, che difficilmente il privato potrà fornire o trovare appetibile. Un capitolo particolare dovrà essere dedicato ai medici di base che dovranno agire in stretta connessione con le strutture territoriali e ai quali dovrà essere assicurato un continuo e sinergico accesso alla strumentazione diagnostica ospedaliera in parallelo alla loro disponibilità di recuperare una visione di missione sociale giustamente valorizzata. Il Recovery Fund è molto incentrato sul tema del miglioramento e implemento della medicina di base e della telemedicina. Per fare questo però ci deve essere la disponibilità dei medici di famiglia a rivedere la loro condizione attuale accettando di dedicarsi con maggiore disponibilità di tempo per i loro pazienti mutuati ed è necessario contribuire ad aumentare la loro preparazione professionale adattandola alle esigenze richieste dal programma Recovery. Infatti la pandemia ha messo in mostra le pesanti criticità del servizio reso sul territorio ai pazienti dai loro medici.
Infine un forte investimento verso le famiglie per dotarsi e utilizzare gli strumenti che la telemedicina impone.
Senza questo restiamo solo su discorsi teorici sull’uso della tecnologia.
Per non sciupare l’occasione irripetibile del Recovery diventa inoltre necessario che ogni scelta debba essere “aggiuntiva” e non sostitutiva. E qui non ci sono limiti di spesa di fondi Europei. Non si devono più ripetere ad esempio i casi di centri vaccinali funzionali e ben distribuiti a copertura di un territorio che ben funzionavano con personale di strutture pubbliche, che sono stati chiusi oppure affidati a personale privato per logiche su cui è meglio tacere e lasciare alla magistratura eventuali approfondimenti.
Bisogna assolutamente avviare un consistente piano di assunzioni sia a livello medico che infermieristico che socio sanitario e di supporto. Per affrontare la pandemia la Regione Piemonte ha dovuto ricorrere a numerose assunzioni, tutte a tempo determinato a conferma della forte carenza di personale all’interno delle strutture ospedaliere. Siccome questa carenza non si verifica solo durante le emergenze ma è una condizione oggettiva riscontrata ormai da tutti, cittadini, operatori sanitari e sindacati e causata dai pesanti tagli al personale operati negli anni passati, è necessario provvedere a mantenere in servizio quelle figure indispensabili a garantire l’efficienza dovuta ai territori, con adeguati contratti non più a termine.
La formazione e la specializzazione del personale richiederanno almeno un quinquennio e quindi si dovrà gioco forza ragionare in termini di assoluta emergenza.
Per questo occorre aprire una seria discussione con il Governo centrale per il reperimento delle necessarie risorse gestionali continuative. Non vorremmo che tutto si risolvesse in nuove cattedrali nel deserto, da abbandonare allo sfacelo o da portare in dono all’iniziativa privata. Dobbiamo ricordare che il modello Privatistico di Riferimento, quello lombardo, ha dimostrato la sua totale inefficienza a rispondere alla emergenza pandemica. Chiaro che se lasciamo lo spazio di intervento servendo sul piatto d’argento spese di investimento in strutture e in strumentazioni, il Privato non si lascerà certamente scappare l’occasione.
Dobbiamo denunciare con forza il rischio di una privatizzazione strisciante con la liquidazione del sistema Sanitario Universale proprio grazie al Recovery. Chiediamo quindi al nostro segretario, nonché Ministro della Sanità, di scendere in campo venendo nei territori per potere acquisire quella forza Popolare e Istituzionale che possa contenere le spinte liberistiche affatto striscianti e bloccare gli appetiti della Sanità Privata Lombarda che non solo preme alle porte ma è già entrata nella logica dirigenziale di varie Asl e dell’Assessore Icardi.

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