Deve essere la terza o quarta volta che scrivo della Pernigotti, da quando la fabbrica venne acquisita dalla società Turca. Era chiaro fin da allora che l’acquisizione era sopratutto un’operazione di carattere economico puramente speculativo. Sono le conseguenze del libero mercato. Si acquista un’azienda, possibilmente con il marchio prestigioso, la si smembra o la si decolonizza, dove la mano d’opera è irrilevante e la si rivende per ricavarne il massimo profitto.
Sono i nuovi prenditori, avvoltoi che il libero mercato globale ha spalancato l’accesso con eccessiva leggerezza, omettendo, in virtù di un liberismo sfrenato senza specifiche e rigide regole comportamentali. L’impresa è diventato un oggetto, una merce e come tale può passare di mano senza tener conto dei risvolti umani e dei drammi che si possono cagionare .
Appare evidente che i sindacati e le maestranze facciano fatica capirlo o non vogliono volutamente rendersene conto. Per loro è lo stato che deve farsi carico delle incongruenze di gestione e garantire se non l’occupazione un reddito ai dipendenti, mascherato dagli innumerevoli espedienti per giustificarne l’elargizione. Il destino dell’azienda è un fatto secondario, suscita emozioni sopratutto nei nostalgici.
E’ perfino commovente assistere al pellegrinare verso il ministero del lavoro per chiedere un’assistenza che diventa sempre più evanescente se non una perdita di tempo vera e proprio. Quando poi interviene il sindaco per dare maggiore consistenza e solidarietà il fatto assume l’aspetto della farsa.
Il Ministero ha fatto quel che poteva, sul punto pressione alla proprietà in un contesto di libero mercato ha di fatto le ali spuntate, può solo sostenere oltre i limiti del possibile: elargizioni economiche per le maestranze e promesse di agevolazione alla proprietà per incoraggiarla verso un incremento di produzione con annessi investimenti per risolvere problemi imprenditoriali.
Purtroppo le aspirazioni dell’impresa Turca dei fratelli Toksoz vanno in altre direzioni, tendenziosamente vuole ricavare un facile ed immediato profitto dallo smembramento e dalla cessione dell’azienda, facendo leva sul nome prestigioso a livello mondiale della medesima.
Stando così i fatti, il via vai al ministero trova il tempo che trova. Anche considerando che a livello nazionale la problematica Pernigotti è praticamente irrilevante, sia per volume di produzione che di addetti. Può apparire ipocrita ma purtroppo è la realtà.
Ricordo che all’epoca della campagna elettorale, in occasione di un banchetto pubblicitario della Lega, feci presente all’attuale Sindaco e all’aspirante futuro assessore Cuccuru le nozioni di cui sopra, suggerendo inoltre di promuovere un’iniziativa di azionariato diffuso cittadino per acquisirne la proprietà. Ne ricevetti un sorriso di sufficienza se non di supponenza.
Eppure la questione della storica azienda dolciaria, ha influito non poco alla sconfitta della precedente amministrazione che si dimostrò, per l’occasione, piuttosto pavida nei fatti ma generosa nelle promesse di solidarietà; d’altronde è così facile promettere e la solidarietà, non costa niente.
Cari Novesi che siete così orgogliosi del marchio e della storia imprenditoriale della Pernigotti che rappresenta, indiscutibilmente un vanto locale su scala internazionale, è così difficile acquisirlo? I Turchi vogliono venderlo ed allora? Compriamola!
Cosa impedisce alle maestranze, alle forze sindacali , politiche e imprenditoriale di acquistarla? Manca Il denaro? Basta farsi promotori di una campagna di azionariato diffuso, coinvolgendo tutta la popolazione , che considera il marchio un fiore all’occhiello, che ne garantisca le risorse, naturalmente sotto la tutela del comune e l’appoggio dell’autorità regionale.
In tal modo la proprietà diventerebbe della città di Novi, che ne rappresenterebbe l’assemblea degli azionisti e la gestione affidata alla diretta responsabilità delle maestranze con un consiglio di fabbrica a dirigerla.
Egregi sindacati che a parole siete incredibilmente bravi a illudere, come fanno i politici e forse anche di più, avreste in questo modo, solo presentando l’iniziativa, qualcosa da proporre al ministero del lavoro, il quale si vedrebbe costretto a sorreggervi, magari con una elargizione atta allo scopo.
Certo l’impegno è gravoso, si passerebbe dalle parole ai fatti e quindi richiederebbe, d’altronde, una notevole dose di coraggio, ma il coraggio, purtroppo, se non lo si ha non lo si può inventare. Mi sembra di ricordare che un famoso romanziere le avesse messe in bocca ad un timido e indeciso curato.
Se siete in queste condizioni e vi manca il coraggio, smettetela di frignare e trovatevi un’altra occupazione su cui sbraitare, forse farete più bella figura e lasciate che la deriva della Pernigotti segua il suo corso .
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2 commenti su “Se vi manca il coraggio, smettete di frignare e trovatevi un altro lavoro”
Comments are closed.
Bravo !
Beh un analisi che feci in precedenza e che di fatto concorda con la tua…
Ribadisco il punto, inutile chiudere ke stalle quando j buoi sono fuggiti