«Probabilmente a Giovanni Brusca fu dato un telecomando finto, della Chicco o della Clementoni, un telecomando giocattolo. Un’operazione di alto livello militare come quella di Capaci, non poteva essere davvero nelle mani di uno come Brusca, detto “u verru”, il maiale».
A dirlo Antonio Vassallo, il primo fotografo sul luogo della strage di Capaci (le cui foto sono misteriosamente scomparse) ospite del presidio novese di Libera lunedì sera. Con lui Dario Riccobono, uno dei fondatori della rete palermitana “Addio Pizzo”. I due importanti testimoni di una delle stagioni più nere della storia italiana hanno incontrato il pubblico novese presso l’aula magna del For.Al e poi martedì mattina hanno avuto un toccante incontro con gli studenti del Ciampini – Boccardo presso il rinnovato teatro Gioacometti. L’incontro è stato organizzato soprattutto grazie all’impegno dell’insegnante del Ciampini Valentina Avvento, da sempre impegnata sui temi dell’antimafia.
Vassallo al tempo della strage di Capaci era un giovane fotografo che abitava nei pressi dell’autostrada, dove alle 17.57 del 23 maggio 1992 venne fatta esplodere una carica composta da tritolo, RDX e nitrato d’ammonio (con potenza pari a 500 kg di tritolo) al momento del passaggio delle tre Fiat Croma blindate di scorta del magistrato antimafia Giovanni Falcone.
Oltre al giudice, morirono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Antonio Vassallo fu uno dei primi ad arrivare su quel tratto di autostrada. Vide negli occhi Falcone morente (il decesso avverrà un’ora dopo l’arrivo in ospedale) e scattò le prime foto del luogo dell’attentato.
«Quel sabato pomeriggio mi trovavo a casa, esattamente tra quel tratto di autostrada e la collinetta da dove è stato premuto il telecomando. Io da anni sono convinto che Giovanni Brusca avesse in mano un telecomando giocattolo. Probabilmente il vero telecomando era in mano ai veri specialisti di questo tipo di attentati, perché a Capaci è stato realizzato un attentato di altissima ingegneria militare. Dovevano far saltare per aria un’auto, che sarebbe transitata a 140 all’ora, calcolando con estrema precisione il ritardo del telecomando e dell’innesco, in un punto preciso al metro. Secondo voi, il telecomando poteva essere in mano a uno dei quattro sottosviluppati che erano lassù, Giovanni Brusca e i suoi compari?»
Quando arrivò sul luogo dell’attentato Vassallo di trovò davanti ad una specie di cratere. «La mia attenzione venne attirata da una macchina bianca, dove c’era un uomo ancora ritto al posto di guida. Dico uomo perché non lo riconobbi: era Falcone, gravemente ferito. Per un attimo i nostri sguardi si sono incrociati. Ancora oggi, a 30 anni di distanza, mi chiedo a cosa stesse pensando il dottor Falcone in quel momento. Probabilmente ha pensato che io fossi uno del commando pronto a finirlo, oppure ha pensato “stavolta ce l’avete fatta ad ammazzarmi”, perché Falcone e Borsellino sapevano quale sarebbe stata la loro fine».
Il racconto di quello che allora era un giovane fotografo di 25 anni è stato molto toccante. «Non sapevo cosa fare in quel momento. Dalla macchina di scorta dietro a quella di Falcone si aprì la porta posteriore e uscì un ragazzo giovanissimo con un mitra in mano. Io feci quello che avrebbe fatto chiunque: scappai. Ritornai dopo pochi minuti e comincia a scattare delle foto».
Sull’autostrada c’erano solo due delle tre auto di scorta. La prima, che era stata colpita in pieno dall’esplosione, non c’era. Il convoglio viaggiava a soli 90 chilometri all’ora, invece dei soliti 140, perché Falcone aveva deciso di mettersi alla guida e quindi la velocità era più bassa. «Gli attentatori dovettero rifare al volo i calcoli del momento dell’esplosione. Una cosa che Brusca non sarebbe stato certo in grado di fare. Questo è un’altro motivo che mi fa pensare che Brusca in mano non avesse il vero telecomando».
L’esplosione avvenne sotto la prima macchina di scorta, e l’auto di Falcone di schiantò contro la colonna di detriti sollevata dall’esplosione.
«Mentre facevo le foto, arrivò a notizia che la macchina di scorta non era riuscita ad evitare l’esplosione, come si pensava in un primo momento, ma che era stata scaraventata a 90 metri di distanza dal luogo dell’esplosione, cadendo sottosopra in un uliveto con dentro i cadaveri dei tre ragazzi della scorta. Mentre scattavo le foto della loro auto si avvicinarono a me due uomini in borghese e mi mostrano un tesserino con una velocità che non so dire se era davvero un tesserino della Polizia, oppure la tessera della palestra. Mi chiesero di dargli il rullino fotografico e io gli mostrai l’autorizzazione della questura ad esercitare l’attività di fotografo. Loro mi usarono violenza e mi costrinsero a consegnare il rullino».
Alcune settimane dopo l’attentato Vassallo ebbe modo di incontrare Ilda Boccassini, a capo delle indagini e di chiedere se le sue foto fossero state utili. «Mi disse di non saperne nulla. Poco dopo venni chiamato da Arnaldo La Barbera, capo delle indagini sugli attentati a Falcone e Borsellino. Mi disse che le fotografie erano state dimenticate nella tasca della divisa di una delle persone che me le aveva prese. Ma non erano in divisa, obiettai. Lui allora disse che erano rimaste in un cassetto. Mi invitò a non alzare polveroni, e così feci».
Arnaldo La Barbera, si scoprirà poi, era agente dei servizi segreti impegnato nel depistaggio delle indagini.
«Probabilmente, nelle mie foto avevo ritratto qualcuno che non doveva essere visto lì in quel momento. Forse la persona che aveva sottratto la valigetta di Falcone, dove dentro c’erano 4 agende del giudice».
La testimonianza di Antonio Vassallo potrebbe gettare nuova luce sulla stagione degli attentati. Non è la prima volta che Vassallo sostiene questa tesi, anche in televisione, ma nessuno finora ha preso in considerazione questa pista di indagine. Di seguito, il video integrale dell’incontro di lunedì sera.
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