Ci salviamo solo se ci salviamo insieme

Tutte le notizie che arrivano dal mondo della sanità, pessime, mancanza di personale, turni massacranti,
cittadini che si lamentano, risposte inadeguate ai bisogni del cittadino, ecc…. Mi fanno riflettere sulla sanità attuale, sul ruolo tecnico che ho avuto negli anni all’interno della sanità, sul mio ruolo ed esperienza politica, sullo stato della sanità in Piemonte ed in Italia.

Rileggo gli ultimi articoli che io o Mino Orlando ed altri, abbiamo scritto negli anni per giornali locali ed ultimamente per “Il Moscone” e mi rendo conto di quanto ancora ci sia da fare, di quanto spesso non usciamo “fuori dai quadrati”. la querelle sul nuovo ospedale ad Alessandria, il malanimo per i posti letto chiusi, per gli ospedali svuotati senza creare percorsi di integrazione sul territorio.
Potrei fare altri mille esempi su come sono stati spesi o non spesi i “soldi” riservati per la Sanità.
Noi continuiamo a ragionare di una sanità del secolo scorso, di modelli organizzativi obsoleti e ratificati anche nei contratti di lavoro. Noi continuiamo a lavorare con la cultura dei vasi non comunicanti. Esistono ancora grosse barriere tra ospedale e territorio, ostacoli tra i reparti dell’Ospedale, invidie e scorrettezze tra professioni e professionisti.
Ognuno, spesso, coltiva il suo orticello e guai se qualcuno osa metterci il becco.
È vero, manca e mancherà il personale. È vero, senza fare programmazione seria, si ricorre ad assunzioni tramite cooperative che, il personale riescono a trovare magari tra coloro che già la Sanità l’hanno lasciata per sopraggiunti limiti di età (sigh!).
Ma al di là della denuncia, non vedo nessun tentativo di risposta alternativa, straordinaria, a problemi straordinari, sia come politiche sanitarie che come modelli organizzativi, come percorsi del cittadino. Esiste un problema gigantesco organizzativo, che richiede cultura e approcci diversi. Abbiamo bisogno di reti tra servizi, garantendo la prossimità, abbiamo bisogno di lavoro in squadra tra specialisti e professionisti, superando modelli culturali vecchi rispetto ai problemi attuali. Per far questo servirebbe una formazione diversa, non solo teorica, ma pratica esperenziale, che si sviluppa nella quotidianità.
Devo dire che per quanto riguarda le infermieri/e, la formazione che viene data ha già un approccio più generale ed una visione d’insieme della Sanità. La loro pratica esperienziale riguarda tutti gli ambiti professionali.
Ma per quanto riguarda i medici?
Continuiamo a ragionare sugli edifici( ospedali, case della salute, ospedali di prossimità ) e non sui modelli organizzativi, sul funzionamento reale delle varie strutture.
Intanto però hanno fatto un Cup regionale che con la prossimità non ha nulla a che fare.
E allora?
Io non ho sinceramente suggerimenti o la regola magica per risolvere il tutto, ma penso che se ci fosse la volontà politica e tecnica, forse si può pensare di uscire da questo “stallo” .
Alcuni giorni fa ho postato una foto con una frase detta molti anni fa da Enrico Berlinguer: ci salviamo se ci salviamo tutti, ci salviamo se supereremo le difficoltà stando assieme, solo se se staremo tutti assieme scevri da egoismi ed interessi personali, attenti al bene comune.

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Concetta Malvasi

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