Come Brigadoon, il misterioso villaggio scozzese che vive solo uno giorno ogni 100 anni (vedi il film del 1954 di Vincent Minelli) Pentèma è una frazione di Torriglia che sembra esistere solo pochi giorni all’anno, quando nelle sue vie strette e erte si organizza il caratteristico presepe.
Tolto il periodo delle festività natalizie, il paese torna ad essere dimenticato dai più. Ma è forse proprio perché è dimenticato, che si conserva così bene.
Un secolo fa, Pentèma era un borgo che contava un migliaio di abitanti. Posto al centro della val Pentemina, in mezzo a magnifici boschi di castagni, oggi conta circa una decina di residenti stabili. Un gruppo di anziani irriducibili che resistono in questo paradiso a quasi 900 metri di altitudine, fatto di case appoggiate una sull’altra (arembate, dicono qui), lungo il pendio del monte.
Le strade in paese sono innumerevoli, ma non sono né a misura d’auto, né di moto. Solo a piedi, o a dorso di mulo, si possono percorre queste strette scalette che tessono come una ragnatela l’intrico di case appoggiate le une sulle altre.
In realtà, il paese si preserva dalla corruzione del tempo grazie al ricordo che ne hanno conservato gli abitanti, in gran parte trasferitisi a Genova nel dopoguerra, ma sempre pronti a tornare, sopratutto in estate. A Pentèma è attivo il Grs “amici di Pentèma”, che gestisce un piccolo bar, organizza eventi e addirittura incontri di formazione, come quello sulla costruzione e manutenzione dei muretti a secco, una delle caratteristiche del paese.
A fianco della sede del Grs c’è un piccolo gioiello , il museo permanente della vita contadina, che è altro non è che la “cà da Sitta”, la casa della zitta, perché fino al dopoguerra vi abitava una signora così soprannominata perché non parlava mai. La visita alla casa permette di capire come era semplice e povera la vita in quel piccolo borgo arroccato tra i boschi, con la stalla al piano terreno, due stanzette sopra – una cucina e una camera da letto – e il sottotetto dove tenere il fieno e le castagne. A far visitare (gratis) la casetta è Eugenia Bona, una signora che racconta precisamente come si viveva lì, perché è nei suoi ricordi che deve pescare. Il pane cotto sulla stufa, in una pentola ricoperta di brace. Il “buco” sul ballatoio che permetteva di gettare direttamente i rifiuti (l’umido, diremmo oggi) nella letamaia. Il piccolo letto matrimoniale, il “cassone” in cui si conservava la farina, le poche cose che servono per una vita umile ma dignitosa, anche senza le comodità a cui oggi siamo forse troppo abituati.
Sarà che a Pentèma il telefonino non prende, e questo mi mette un po’ di ansia, ma mi fa anche staccare dal resto del mondo e dai suoi continui richiami, ma perdermi per le strette vie del paese (che non è piccolo, tutt’altro) in cui sono capitato per caso una mattina di agosto, mi dà un senso di libertà.
Eugenia mi porta a visitare anche la chiesa, imponente, orgoglio di ieri e di oggi. «A costruirla hanno contribuito anche quelli che erano emigrati all’estero» mi dice mentre mi mostra orgogliosa l’organo Paganini «ma purtroppo non abbiamo più nessuno che la sa suonare».
Ma la vera sorpresa è l’home restaurant di Anna e Erica, dove ho mangiato a ottimo prezzo pansotti al sugo di noci e coniglio in pastella. «Abbiamo aperto proprio all’inizio della pandemia – mi dice Anna – è stata una pazzia, ma noi di Pentèma ci siamo innamorati oltre 30 anni fa, quando siamo capitati qui per trovare degli amici. Questo paesino o lo ami o lo odi, ed io alla prima visita ne fui terrorizzata, ma i miei figli se ne innamorarono, ed ora siamo ancora qui».
L’home restaturant è una gran bella idea, ed credo sia l’unico modo per fare ristorazione in un posto così sperduto. Sperduto perché da Torriglia, il comune più vicino, ci sono 7 chilometri di curve continue e sembra di non arrivare mai. Ecco, quello è un posto che non ci arrivi per caso, a meno che non sei un curioso patologico come me.
Sopra il piccolo ristorante, Anna ha tre stanze che affitta a chi vuole godersi qualche giorno fuori dal mondo, e mi mostra con orgoglio il suo “riposo del viandante” (così ha chiamato il bed & breakfast) decorato dalle sue creazioni di radici e sassi con cui ricostruisce la natura aspra del paese.
Con Anna c’è il marito, che avendo solo 70 anni è il giovanotto del paese, e si premura di pulire camini, cambiare le bombole del gas ed altre incombenze quotidiane dei pochi residenti. «Dobbiamo aiutarci tra noi – mi dice mentre mi offre un bicchiere di vino – come quando c’era il covid ed uno andava a fare la spesa per tutti giù in paese, una volta alla settimana».
A Pentèma ho passato una giornata un po’ fuori dal mondo, con la curiosità di perdermi tra i mille sentieri che dal paese si perdono nel bosco. Andate a visitarlo, andate vedere la casa della Sitta, a mangiare da Anna ed Erica, ma… non ditelo troppo in giro. Non vorrei mai che l’incantesimo si perdesse.
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Un commento su “Una gita a Pentèma, il paese che lotta per fermare il tempo”
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Péntema.
Si dice Péntema.