La sinistra è morta, viva la sinistra!

Se non erro fu Papa Wojtila a dire, nei giorni della caduta del muro di Berlino, che il comunismo era morto ma che i problemi a cui aveva cercato di dare risposta erano ancora ben presenti, ed attendevano ancora soluzione. 
La discussione un po’ agostana sullo stato di salute (pessimo) della sinistra in Italia scatenata da Francesco Giannattasio e ripresa prima da Giacomo Orlando e poi da Luca Patelli mi ha stuzzicato, e mi sono fatto delle domande. 

Cosa significa oggi essere di sinistra? Ha ancora senso oggi fare proposte “di sinistra”? Ha ancora senso essere “di sinistra”?

Partiamo da un problema grosso come una casa: se oggi la sinistra cerca di dare risposte ai problemi degli strati più marginali della popolazione, ai cosiddetti ultimi, le analisi elettorali e i dati dei seggi ci dicono che è proprio nei quartieri popolari e operai che la sinistra fa più fatica a raccogliere voti. Un bel paradosso: la sinistra cerca di dare risposte a problemi di persone che non riconoscono, con il loro voto, a quel soggetto la facoltà di risolverli. 

Non sto parlando solo del Pd: alla sua sinistra, c’è una galassia di partiti il cui elenco sarebbe lungo ma che nel suo insieme raccoglie percentuali da prefisso telefonico. 

Ma l’analisi non può limitarsi al lato partitico della faccenda: la sovranità è in mano agli elettori. 

Se al tempo della cosiddetta prima repubblica scostamenti di piccole percentuali di voto venivano giudicati enormi, facendo si che è un partito che perdeva, ad esempio, il 3% da una tornata elettorale all’altra, faceva titolare i giornali “tracollo”, negli ultimi anni abbiamo assistito a flussi elettorali inauditi in tempi meno recenti, con un elettorato che ad ogni turno si innamora ora di Berlusconi, ora di Renzi, di Grillo, di Salvini e il 26 settembre prossimo, come prevedono tutti gli analisti elettorali (e come io, sia ben chiaro, non mi auguro), di Giorgia Meloni. Ondate di voti portano prima alle stelle e poi alle stalle il leader di turno. 

Restano a guardare la sempre più grande parte di cittadini che alle urne non ci vanno. Sarà capitato anche a voi di parlare con chi ha deciso di non votare, immagino. Le motivazioni di solito sono: “tanto non cambia nulla”, “tanto sono tutti uguali”, “nessuno mi rappresenta”, e cose simili.
A me a volte sorge un dubbio: decidere chi votare presuppone una conoscenza di partiti, programmi, persone, idee, situazioni contingenti. Presuppone un interesse e uno studio che costa fatica e spesso manca. Ecco, a volte i “non voto” mi ricordano quegli alunni che non studiano, e si trincerano dietro alla solita scusa: tanto lo so già che mi vogliono bocciare. 
Disertare le urne è una scelta più comoda che “sporcarsi le mani” con la politica, informandosi, studiando, discutendo. Del resto, il nostro sistema elettorale, come tutti, se ne infischia allegramente di chi non vota: i seggi vengono attribuiti in base ai votanti, per pochi che siano. Maggiore è l’astensione, e maggiore è il peso del voto di chi decide di andare a votare. Paradossalmente, se alle prossime elezioni decideste di disertare tutti le urne, e andassi a votare solo io, avrei il potere nelle mie mani, e vi garantisco che non piangerei per questo. 

Sul Moscone Giacomo Orlando ha scritto: “la sinistra non c’è più”. Ma in che senso, caro Dottore?  Non c’è più un elettorato di sinistra, o non c’è più un partito che sappia rappresentare quegli ideali? 

Credo purtroppo che siano vere entrambe le affermazioni. Il Pd ha dato prova senza dubbio di essere una forza politica assennata, e poco di più. Ma tirate le somme, alla fine delle sue esperienze di governo, le sue battaglie più identitarie (vedi ad esempio il sacrosanto Jus Soli) sono purtroppo rimaste sulla carta. 
Il tentativo di Enrico Letta di dare vita ad uno schieramento il più largo possibile, una speranza di contrastare in questo sistema elettorale l’ascesa al potere della destra, è naufragato nei giorni scorsi. 

Significativo quanto detto da Letta nell’intervista su “la stampa” di due settimane fa: Renzi e Calenda sono come quei bambini che o comandano loro, o portano via il pallone. Ma questo pallone portato via significherà, molto probabilmente, consegnare il paese alla destra con percentuali bulgare. D’altro canto, offrire una via d’uscita al centro per quell’elettorato di centro destra che non vuol vedere la Meloni trionfare, potrebbe anche riservare sorprese. 

Letta ha cercato di fare l’unica cosa possibile per contrastare la destra nei collegi uninominali, che assegnano gran parte dei posti a Roma: riunire il maggior numero di sigle possibili. Ironia della sorte, il “Rosatellum” che oggi tanti problemi crea al Pd, prende il nome di Ettore Rosato, al tempo deputato del Pd ed oggi presidente di Italia Viva, il partito di Renzi che rischia di non superare la soglia di sbarramento. 

Come dice il dottor Orlando, “franza o spagna basta che se magna”, che mi ricorda quel “tappiamoci il naso” di montanelliana memoria. In realtà, davanti a questa destra, l’Italia democratica avrebbe dato una buona prova di sé presentando agli elettori un fronte popolare largo che avrebbe avuto qualche chanches di fermare questa deriva a destra. Un fronte per cui votare senza aver bisogno di tapparsi il naso. Ma purtroppo è andata in un altro modo, come sapete. 

Ma come siamo arrivati qui? Partiamo dai fondamentali. L’idea “di sinistra” non nasce con il comunismo e il socialismo, ma nasce quando gli strati più derelitti e tartassati della popolazione acquisiscono una coscienza di classe, cioè quando capiscono che l’unico modo per migliorare le proprie condizioni passa attraverso un’azione collettiva. Ci si salva solo se ci si salva tutti insieme, in sostanza. L’obbiettivo non è quello del singolo che cerca di migliorare la sua posizione, ma quello di una massa di persone che lotta insieme per migliorare complessivamente. Un obbiettivo fatto proprio anche dal cattolicesimo sociale. 

Nascono le società operaie, nascono le leghe, nascono i sindacati, poi nasce il partito socialista e poi quello comunista. 
Ecco, mi sembra che se c’è una cosa che non è più di moda nel nostro paese, è proprio questa coscienza collettiva. Ognuno pensa per sé, in un orizzonte limitato alla propria famiglia e ai propri interessi. In questo, fatica enormemente a trovare spazio una idea “di sinistra”. Ognuno è alla ricerca della propria scorciatoia personale verso il proprio benessere, a scapito degli altri. Se non siamo al “si salvi chi può”, poco ci manca. 

Avete presente il Quarto Stato, capolavoro di Pelizza da Volpedo? Se non lo avete presente, è l’immagine che correda questo articolo. Una volta (ma lo si trova ancora oggi) era esposto in tutte le sedi dei partiti di sinistra, nelle sedi sindacali, insomma, lo mettevano quelli di sinistra. Rappresenta un gruppo di lavoratori (“la fiumana”, “gli ambasciatori della fame”, i titoli dei bozzetti preparatori) che si recano a casa del “signore” in Piazza Malaspina a Volpedo, dove c’era e c’è il palazzo del possidente locale, per chiedere migliori condizioni di vita e di lavoro. Tutti insieme, perché solo così – si sapeva allora – si poteva ottenere qualcosa. Oggi, che la sinistra è morta, Pelizza avrebbe dovuto rappresentare una serie di persone che alla chetichella andavano a bussare alla porta a chiedere migliori condizioni per se stesse. Ovviamente, senza ottenere nulla.

Permettetemi di chiudere con una citazione di uno che di politica se ne intendeva, Norberto Bobbio: “Se vi è un elemento caratterizzante delle dottrine e dei movimenti che si sono chiamati e sono stati riconosciuti universalmente come sinistra, questo è l’egualitarismo, inteso, ancora una volta, non come l’utopia di una società in cui tutti gli individui sono uguali in tutto, ma come tendenza a rendere eguali i diseguali.”

Insomma, proprio perché le sue idee non sono più di moda, che c’è bisogno di sinistra, ma non a Roma, tra i partiti, tra i parlamentari. C’è bisogno di “sinistra” tra di noi. Per questo, se la sinistra è morta, allora ancora più possiamo dire “viva la sinistra”. 

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andrea vignoli

Giornalista, scrittore, insegnante.

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