“I Due Foscari”, sesta opera verdiana e sesta opera andata in scena al Teatro Carlo Felice di Genova, sapientemente diretta dal Maestro Renato Palumbo e per la regia di Alvis Hermanis, attento alle fonti storiche e filologiche nel rappresentare la Venezia del ‘400, è un dramma tragico che segna il declino del Doge, Francesco Foscari, ovvero la fine di un potere supremo e dell’epoca d’oro veneziana. Verdi ricerca attraverso quest’opera, la cui fonte è The Two Foscari, a historical tragedy, di George Byron il dramma psicologico che si consuma all’interno di una famiglia: Francesco, il Doge, interpretato dal convincente baritono Leon Kim è dilaniato dall’amore per il proprio figlio che dovrà essere giudicato dal Consiglio dei Dieci per omicidio e per il quale sarà costretto ad emettere la sentenza di condanna. L’Overture già contiene i toni drammatici, anzi tragici di un’opera che potremmo definire di “sperimentazione e ricerca”: “Silenzio, mister, giustizia” sono le parole chiave che introducono allo spirito byroniano di Jacopo interpretato da un drammatico Giuseppe Gipali, cantante poliedrico che spazia dal belcanto ad opere veriste e che aprono anche al dramma vissuto da Lucrezia, moglie di Jacopo Foscari, che non accetta il destino funesto del suo sposo; il soprano Marigona Qerkezi regala un’interpretazione carica di pathos, culminando alla fine del I^ atto con la supplica “L’amato sposo rendimi…”. I momenti di dolente drammaticità si continuano a susseguire: la musica di Verdi riflette un climax intenso di dolore, in cui Francesco, si rivela “Sarò Doge in volto e padre in core…” alla supplica “Ah, rendete il figlio a me…”, mentre un incalzante Loredano, interpretato da un imponente Antonio di Matteo lo incalza con un ripetuto “Cedi, cedi…” che insieme ai consiglieri e alla giunta decreteranno la fine dei Foscari; con questo dramma Verdi intraprende la strada per fondere musica e analisi introspettiva, motori dei capolavori che non tarderanno ad arrivare, grazie a “I Due Foscari”.
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