Da dove viene la nostra sanità? Da uno tsunami politico di colossali dimensioni, caratterizzato da lustri di assoluta assenza di politiche sanitarie a cui si è aggiunta la pandemia, che ha aperto una sorta di vaso di Pandora.
Negli ultimi dieci anni sono stati chiusi di 111 ospedali, tagliati 37.000 posti letto, , perso 5000 unità di personale medico per blocco del turnover e sono emigrati, con ampia protezione speciale 180.000 professionisti tra medici e infermieri.
Istat 2022 dice che mancano 118.000 infermieri; che abbiamo un basso numero di infermieri laureati, 1200, che ci pone al quintultimo posto in Europa.
Sono stati persi nel decennio 2010/2019 7 Miliardi di finanziamento con un costante aumento della spesa out of pocket, per dirla in italiano dalle tasche dei cittadini di 35 miliardi/anno prelievo che ormai copre circa il 30% circa del fondo del SSN, siamo sotto la media OCSE per quanto riguarda gli investimenti considerando sanità/Pil e sanità/Pil pro-capite. l’Italia spende per la salute il 32,5% in meno rispetto all’Europa Occidentale e l’ultimo DEF non induce ottimismo .
Tutto questo ha avuto un impatto sociale non da poco: più di 1 milione di famiglie ha rinunciato a cure mediche e un pari numero ha disinvestito i propri risparmi per affrontare cure mediche (GIMBE, CREA-Medicina Tor Vergata) e si è avuto aumento IRPEF in alcune regioni sottoposte al piano di rientro. Tutte le forze politiche hanno preso parte a questo saccheggio. La sanità intesa sempre come spesa e non come investimento.
Cosa è successo invece durante e dopo la pandemia? Ce lo ricordiamo tutti il grido di dolore: il territorio!, il territorio! Come Maša, Olga e Irina che ossessivamente ripetevano, illuse, a Mosca! A Mosca! Anche se , a mio modesto parere, il problema non è solo li.
Ed eccolo una nuova legge di riforma sanitaria, con questi obiettivi: ridurre i ricoveri ospedalieri e le prescrizione diagnostiche inappropriati, decongestionare i Pronto Soccorsi, garantire la continuità terapeutica, prendere in carico delle cronicità, avere una riabilitazione efficace, ridurre le liste di attesa e fare vera prevenzione. Il libro dei sogni. La Legge Balduzzi, Legge 8 novembre 2012 n 189, che si proponeva gli stessi obiettivi è stata dichiarata fallita. In Italia di promulgano del leggi, e poi, banalmente non si realizzano, sic et simpliciter. (Perché è fallita? Per colpa di chi, eventualmente? Era improponibile? Non si sa). Il Direttore generale delle Professioni sanitarie, Rossana Ugenti in audizione in Commissione Igiene e Sanità del Senato ha detto “La legge Balduzzi ad oggi non ha trovato pieno compimento” tout court.
La nuova legge si basa su quattro gambe: Ospedale di prossimità, Case di comunità, Potenziamento assistenza domiciliare, ridefinizione RSA, Centrali Operative.
Qualche problema esiste però e lo rileva lo stesso Ufficio Parlamentare di Bilancio, che dice: manca la copertura economica completa delle spese per il personale, sarà indispensabile in futuro assicurare le risorse necessarie a finanziare gli oneri permanenti, principalmente per il personale, necessari a gestire i servizi sanitari potenziati grazie al Pnrr.
Per il 2026 saranno necessari altri 2,6 miliardi per il personale: 2000 medici in più ( al netto, non contando la copertura dei pensionamenti!), 20.000 infermieri e altre 30.000 unità distribuite in altre professionalità
A tutt’oggi per il 2026 quando dovrebbe andare a regime i PNRR e il DM 77 sono stati stanziati 1,7/1,8 miliardi per un costo complessivo previsto tra i 3,2/2,3 miliardi: mancano quindi circa 500 milioni. Continua l’Ufficio Parlamentare di Bilancio: “il rafforzamento delle risorse umane, è un passo necessario anche solo per superare le carenze emerse negli ultimi anni” e che “ senza le risorse economiche necessarie non è del tutto chiaro se e in che misura si potrà contribuire a garantire l’ampliamento delle prestazioni rispetto al passato”. Altrimenti avremo cattedrali nel deserto. https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=106759
Il vecchio vezzo nostro: tagliamo il nastro poi vedremo.
Secondo problema: le figure mediche fondamentali nell’Ospedale di Prossimità e nelle Case di Comunità sono il medico di libera scelta, cioè il medico di famiglia, il pediatra di base o “altro medico convenzionato” ( il privato forse…?). A tutt’oggi la categoria si è mostrata tiepida di fronte a questo progetto che potrebbe prevedere tra l’altro un cambiamento del loro status nei confronti del Sistema Sanitario Nazionale, da convenzionati a dipendenti, come i medici ospedalieri. Situazione del tutto paradossale. Il sipario si apre ma mancano gli attori, che non sono d’accordo sulla scelta del testo! I primi a esprimere dubbi sono stati infatti proprio i rappresentanti dei principali protagonisti di questa riforma, il Dottor Filippo Anelli, Presidente della FNOMCeO ( Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri) e il Dottor Francesco Esposito segretario del FISMU ( Federazione Italiana Sindacale Medici Uniti): ”rischiamo di creare scatole vuote”!!
“In Piemonte il saldo negativo è di 2004 medici, con carenze maggiori per medicina emergenza ed urgenza. Da un confronto tra fabbisogni dichiarati dalla regione e previsione di medici in pensionamento nel periodo 2018-2025, si evince come il Piemonte esprima un fabbisogno che si avvicina molto al fabbisogno reale, a parte alcune eccezioni come la cardiologia (deficit di 40 medici al 2025), nefrologia (deficit di 47 medici), neurologia (deficit di 40 medici) e pediatria (surplus di 102 medici). È purtroppo limitato a 10 contratti/anno il finanziamento regionale per la formazione specialistica, spalmato nelle branche più in sofferenza.”
Mancano per ora soldi e personale, in buona sostanza, quindi auguri alla riforma della medicina del territorio. Poi ci sarebbero altre mille cose da dire. Forse se ne potrebbe parlare.
Ti è piaciuto questo articolo? Offrici un caffè con Ko-Fi
Segui il moscone su Telegram per ricevere una notifica ogni volta che viene pubblicato un nuovo articolo https://t.me/ilmoscone