La questione della perequazione degli investimenti tra Gestione Acqua, Amag Reti Idriche e Comuni riuniti Belforte continua a far discutere. La recente sentenza del Tribunale di Alessandria, sfavorevole a Gestione Acqua, ha comunque ribadito la validità del principio di perequazione stabilito nel contratto di servizio ATO6.
Per capirci di più, siamo andati a chiedere lumi a Mauro D’Ascenzi, che non è solo stato a lungo amministratore delegato di Acos e di Gestione Acqua. D’Ascenzi è stato anche Presidente di Federutility, la Federazione delle Imprese Energetiche e Idriche Italiane e Presidente di Eureau (European Union of National Associations of Water Services) e di Utilitatis, Centro di ricerca per l’acqua, l’energia e l’ambiente.
Insomma, uno che di queste faccende se ne intende. Gli abbiamo chiesto cosa ne pensi della vicenda, e dei suoi ultimi sviluppi.
«Non entro nel merito della sentenza, nè del contenzioso tra le aziende – ci ha detto D’ascenzi – Mi sembra non lo abbia fatto neanche il giudice di Alessandria, il quale pur riconoscendo il principio della perequazione non dice se quella richiesta è giusta o no. Infatti non ha nominato un proprio consulente tecnico per verificare la correttezza dei numeri. Spero che le aziende trovino una quadra o altrimenti che il giudice d’appello a cui dice di volersi rivolgere Gestione Acqua dica un parola definitiva».
Comunque la si pensi, questa vicenda evidenzia che il sistema non funziona come dovrebbe.
«Io vedo due problemi grossi come macigni. Il primo è che l’attuale piano economico che stabilisce quanto bisogna investire nel servizio idrico e i suoi costi di gestione, non regge. Questo conflitto nasce anche perché la coperta è corta per tutti. Se faccio più investimenti la tariffa non li copre a sufficienza. Ma degli investimenti c’è urgente bisogno. Non mi soffermo sullo stato delle strutture, tubi, depuratori, captazione. Senza questi investimenti è a rischio di inefficienza un servizio fondamentale. Questa situazione è stata ulteriormente aggravata dalla congiuntura economica mondiale, cito per esempio i costi dell’energia. Quindi aziende, comuni e Ato devono sedersi ad un tavolo e ripensare il piano. Anche alla luce di un evento questa volta favorevole: i cospicui finanziamenti pubblici ricevuti di recente dai gestori».
«Il secondo aspetto critico emerso è dato dalla frammentazione delle gestioni. Anche l’attuale modello che vede tre aziende unite solo dalla riscossione delle tariffe ha dimostrato di essere in crisi. Produce conflitto tra chi tira la coperta da una parte, chi la tira dall’altra e tutte tre rimangono con un pezzo al freddo, con parti scoperte del proprio bilancio. Non solo. L’attuale sistema moltiplica per tre funzioni che potrebbero essere univoche e messe a fattor comune, portando a maggiore efficienza e ad un ragguardevole risparmio di costi, di cui beneficerebbero i cittadini e la salute economica delle società che gestiscono».
Anche qui, come nella raccolta rifiuti, il problema è che abbiamo troppi gestori?
«L’attuale frammentazione dei gestori che riguarda anche altri servizi pubblici – primo tra tutti il sistema dei rifiuti urbani – e alla cui creazione ho partecipato anche io, nasce con un limite di fondo: un fortissimo campanilismo. Oggi abbiamo di fronte i risultati, alcuni buoni, altri meno. In parte ha funzionato, ma è giunto il momento di guardare a futuro con idee nuove e spirito innovativo. Soprattutto guardando ognuno oltre al proprio orticello».
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