Ci siamo ormai abituati alla morte in diretta: prima quella delle telecamere e delle radiocronache dei giornalisti che tramettono sul campo le fasi drammatiche dei conflitti dagli anni 60 ad oggi. Oggi i cellulari ci inviano la guerra vissuta direttamente dalle vittime. Ci abitueremo anche a questo.
Ma riusciremo mai ad abituarci alla voce di una bambina di pochi anni che con il proprio telefonino chiede aiuto, dice che sta arrivando un carro armato, ci rimanda i botti, gli spari, le sue urla di terrore e poi il suo silenzio assordante e quello deflagrante delle nostre coscienze? Se ci abitueremo anche a questo si sappia che stiamo assistendo alla fine dell’umanità.
Non ho mai nascono la mia simpatia per Israele, per i suoi diritti, per i suoi progressi, per la sua battaglia per vedersi riconoscere da tutti, proprio da tutti, il diritto di esistere e vivere in pace. Al pari del popolo palestinese che ha a sua volta il diritto, come ormai sostengono anche le forze più moderate, ad avere un proprio stato e un proprio territorio.
La strage barbara e disumana del 7 novembre perpetrata Hamas ha dato un duro colpo soprattutto al sogno palestinese ed era inevitabile una terribile risposta da parte di Israele.
Ma fino a che punto ci si può spingere per colpire le truppe avversarie? La contabilità della morte ci dice che stiamo arrivando a quota 30.000 vittime palestinesi di Gaza. Gran parte donne, bambini e moltissimi giovani inermi. Senza contare le centinaia di migliaia di persone senza casa. Senza acqua, senza cibo, senza medicine.
Ragioniamo in termini teorici.
Se l’esercito nemico è “il male”, io che sto “dalla parte della ragione”, per distruggerlo, fino a che punto posso annientare anche il popolo in cui si mischia?
Perché se la “giusta causa”, ammesso che di questo si tratti, può superare ogni limite per distruggere il “male” allora si giustifica anche l’uso della bomba atomica tattica? E poi, una volta che si è fatto tabula rasa, abbiamo la certezza che il male sia veramente estirpato o non conservi ancora zolle fertili, fecondate dagli stessi comportamenti atroci dei “buoni”?
In un mondo in cui i focolai di guerra si vanno diffondendo assieme ai radicalismi ideologici, religiosi, nazionalistici è una domanda che occorre farsi e se la deve porre la collettività internazionale.
Gruppi sparuti di persone hanno manifestato a favore dei palestinesi, non vi è dubbio che tra loro vi fossero degli antiisraeliani storici e faziosi. Ma ora la guerra sta diventando la vera e propria strage di un popolo, operata da un governo inetto, estremista che ha reso anche militarmente vulnerabile Israele, che attraverso la durezza della guerra cerca di rifarsi un’immagine trai suoi elettori.
È giunto il momento in cui tutti i democratici, che hanno a cuore la pace per ambo i quei popoli, alzino la voce e chiedano anche attraverso le istituzioni, i propri partiti e governi che e si fermino i bombardamenti, che si sospenda la guerra, e si cerchi una via d’uscita. Non sarà facile ma almeno avremo fermato – o almeno sospeso- la strage dei bambini.
Poniamo fine a questo imbarazzo, questo blocco, derivante dall’idea più o meno nascosta che chi chiede la fine della guerra involontariamente aiuti Hamas.
A fare il suo gioco ci pensa già Netanyahu.
Al contrario non lasciamo ai terroristi la falsa difesa del popolo palestinese. Perché anche Hamas ha sulla coscienza quei 30.000 morti.
Ti è piaciuto questo articolo? Offrici un caffè con Ko-Fi
Segui il moscone su Telegram per ricevere una notifica ogni volta che viene pubblicato un nuovo articolo https://t.me/ilmoscone