Pensieri in prossimità della giornata dell’8 marzo 

Il Consiglio Comunale di Novi Ligure nella seduta del 19 febbraio ha approvato anche alcune modifiche al regolamento per la Consulta Comunale delle pari opportunità.  Confesso che il tema non mi ha mai appassionato, anche perché questi organismi spesso sono composti solamente da persone di sesso femminile e le attività che svolgono diventano sessioni di lavoro tutte al femminile, di fatto così vanificando le stesse ragioni che li hanno fatti nascere, ossia quella di promuovere l’uguaglianza tra i sessi e iniziative per la diffusione di una cultura della parità. 

Altrettanto non mi ha mai appassionato il tema afferente l’introduzione delle cd. “quote rosa” negli organi di governo degli enti locali, nelle cariche pubbliche, nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società. 
Non credo nelle “quote rosa”, che mi sono sempre parse una pretesa che sostituisce il merito, anche se non nego che possono, talvolta, avere rappresentato uno strumento per una migliore valorizzazione dei talenti femminili. 
Io ho infatti sempre creduto che le donne debbono essere scelte non per il loro genere, ma per le loro capacità, conoscenze e competenze. 

Da oltre 30 anni svolgo una professione che era prettamente maschile – quella di avvocato – e che negli ultimi anni ha  visto crescere sempre di più la presenza femminile: il rapporto Censis 2023 sull’ avvocatura italiana, circa la distribuzione per genere, vede una leggera prevalenza maschile con il 52,3% sul totale e quindi dimostra quanto il divario tra i generi è stato colmato in poco più di 100 anni. 

Nel 1883 Lidia Poët, la prima donna avvocato italiana, si vide infatti annullare dai giudici della Corte d’Appello di Torino l’iscrizione all’albo per il semplice fatto di essere donna.  Durante la mia professione posso dire di non essere mai stata discriminata per il fatto di essere donna. 

Io però appartengo alla generazione che si è formata negli anni delle grandi riforme, attuative della nostra Carta Costituzionale, quella degli anni 70, che sono anni di grandi conquiste legislative, di affermazione di grandi valori e di cambiamento radicale della cultura del nostro paese, anni dove vi è stata sintonia tra cultura giuridica e movimenti di massa. 

Il legislatore all’epoca introdusse nel nostro ordinamento leggi che mantengono ancora oggi la loro attualità e che rappresentano ancora un punto di riferimento per l’interprete e l’operatore del diritto: la riforma del diritto di famiglia, la legge sul divorzio, lo statuto dei lavoratori, la legge sul processo del lavoro, la legge sulla tutela della maternità, la legge istitutiva delle regioni, le riforme tributarie sono solamente alcuni esempi di come il legislatore degli anni 70 fosse ispirato da un progetto costituzionalmente orientato di grande modernità per il nostro paese. 

In quel clima, tra maschi e femmine, fin dalle scuole, si faceva strada una educazione alla parità e una cultura del rispetto reciproco, cultura che trovava i suoi riferimenti nei principi costituzionali e pure nel movimento femminista, che aveva anche maschi tra i suoi sostenitori.  Oggi invece il legislatore sembra non cogliere le sfide che la società pone e pare sempre più miope di fronte alle stesse. 

Ho letto nei giorni scorsi la notizia relativa ad un gruppo di ragazzi in Veneto, che mentre erano trasportati su un autobus condotto da una donna, hanno intonato un coro con le parole “ stupro – stupro” e mi sono chiesta quale sia la ragione di tali comportamenti riprovevoli che sono certa i ragazzi “maschi” della mia generazione non avrebbero tenuto e che evidentemente le “quote rosa” o la creazione di “consulte” non riescono a prevenire. 
La risposta, a mio avviso, risiede ancora una volta nella mancanza di cultura e di educazione che la scuola non riesce più a garantire. 

La scuola sconta infatti molti degli errori fatti nel tempo: ci troviamo nuove generazioni più fragili e indifese, talvolta con buone idee, ma inascoltate dalla politica e in alcuni casi anche prese a manganellate quando manifestano le loro opinioni. 

La scuola ha perso molto la sua funzione pedagogica e non rappresenta più, con alcune doverose eccezioni, un luogo di formazione di ragazzi e ragazze. Il preside è diventato una sorta di amministratore delegato chiamato a gestire un budget e la scuola è sempre più simile ad una azienda con le annesse logiche di competitività e competizione che tuttavia ha per lo più rinunciato al suo ruolo fondamentale: quello di educare allo sviluppo del pensiero critico e alla riflessione sulla ricerca di sé e degli altri. 

La scuola deve quindi recuperare il suo ruolo fondamentale e coinvolgere le nuove generazioni, ragazze e ragazzi.  Già Piero Calamandrei diceva che “trasformare i sudditi in cittadini e’ miracolo che solo la scuola può compiere”. 

Quanto alla parità di genere, anche in vista della giornata dell’8 marzo, le donne comincino a essere autorevoli in tutti i campi, prendendosi cura del bene comune con passione e tenacia: credo che rappresentare una “quota” lasci un profondo senso di disagio e che la presenza di una donna in un ruolo apicale debba fare notizia non perché si tratta di una donna, ma solamente perché la stessa e’ preparata e competente. 

Se non è accettabile, nel XXI secolo, che il valore venga discriminato perché appartenente al genere femminile, non è certamente conveniente per la collettività il contrario e cioè che il genere femminile venga rappresentato solo in quanto tale, astraendo dalle qualità e dal valore della persona. 

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patrizia gugliermero

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