Recentemente la Germania ha approvato un disegno di legge che permetterà la legalizzazione della cannabis a partire da giugno 2024. Questo ha riacceso il dibattito anche in Italia.
Sul tema è importante prima di tutto avere chiara la differenza tra “liberalizzazione” e “legalizzazione”. Legalizzare significa infatti concedere la possibilità di utilizzare e commerciare certe droghe, classificate come “droghe leggere”, a determinate condizioni stabilite dalla legge. Liberalizzare significa invece riconoscere la piena libertà di commercio senza vincoli legislativi che non riguardino anche altri mercati. La legalizzazione è il presupposto giuridico necessario ad una eventuale liberalizzazione di un dato mercato, in questo caso quello della cannabis.
Per fare un esempio, il caso più famoso di legalizzazione è sicuramente quello dell’Olanda, dove è sì consentita la vendita di prodotti a base di cannabis nei famosi coffee-shops, ma l’attività rimane soggetta a stretti vincoli e controlli da parte dello stato: la vendita è consentita esclusivamente nei sopracitati luoghi preposti, che non è possibile aprire senza essere in possesso delle dovute autorizzazioni, oltre ad essere proibito l’acquisto di dosi superiori ai 5 grammi di prodotto, e il loro consumo in luoghi pubblici.
Stupefacenti e legalità
Il dibattito rimane aperto anche tra chi per lavoro si occupa di lotta alla vendita e alla diffusione di sostanze o, più in generale, alla lotta alla criminalità organizzata. Basti pensare che la stessa Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, si è più volte espressa a favore della legalizzazione, sostenendo che sarebbe un grande aiuto per la lotta alla diffusione delle droghe pesanti e alla criminalità organizzata, mentre personalità, come il noto magistrato Nicola Gratteri, si schierano tutt’oggi contro la possibilità di un cambiamento in questo senso nel nostro paese, ricordandoci i gravi danni alla salute che ne derivano, e il fatto che una “normalizzazione” del consumo di cannabis incentiverebbe all’uso di sostanze ben più pericolose (come cocaina, psicofarmaci o droghe sintetiche).
Ma perché bisognerebbe dare più credito al primo ragionamento anziché al secondo? Partendo dai dati, in Italia è depenalizzato l’uso personale, che viene valutato in base alla quantità di principio attivo contenuto nella sostanza, e l’ambito è disciplinato principalmente dagli artt. 73-74-75 del “Testo unico sulle droghe”, contenuto nel codice penale. Come riportato da “Libro Bianco delle Droghe” (l’associazione che ogni anno analizza gli effetti sociali e legislativi di tali disposizioni, promosso, tra gli altri, anche dalla CGIL) escludendo la cannabis dall’elenco delle sostanze presente in questi articoli non avremmo sovraffollamento nelle carceri. Infatti, di tutti i procedimenti penali ex art. 73, ben il 75% riguarda il consumo e il possesso di cannabis, a fronte del 18% legati alla cocaina, e al misero 4% legato all’eroina. Sulla base di queste accuse, nel 2022 il 26% dei detenuti sono entrati in carcere per possesso o consumo di cannabis, dei quali più del 90% erano minorenni.
Legalizzando la cannabis, (come si può verificare essere avvenuto in Portogallo, Spagna, Malta o Lussemburgo), non solo si riducono inutili ingressi in carcere, ma si disincentiva anche il consumo della sostanza, che, una volta sottoposta controlli e restrizioni, risulta molto più difficile da reperire per persone che non vi si dovrebbero interfacciare (quali i minorenni). Questo avviene perché la creazione di appositi luoghi dediti alla vendita e al consumo, permette una più efficiente attività da parte delle forze dell’ordine nel distinguere tra veri e propri criminali, che compiono il reato di spaccio, da persone che hanno un problema di tossicodipendenza.
Un mercato sempre fiorente
Un’altra prova che l’illegalità della cannabis rappresenta un ostacolo al corretto svolgimento delle attività di polizia nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata può essere trovata nella “Relazione Europea sulla Droga” e nella “Relazione sui mercati della droga UE”. Nel 2016 la stima relativa al valore del mercato della cannabis nel Vecchio Continente attestava a 9 miliardi di euro, quello della Cocaina a 5,7 miliardi e quello dell’eroina a 6,8 miliardi.
Questi soldi vengono poi utilizzati dalle organizzazioni criminali per finanziare l’acquisto di armi che vanno a confluire nella branca del mercato nero adibita al finanziamento del terrorismo. Sottrarre alla criminalità organizzata una delle attività più proficue significa sottrarre risorse al finanziamento del terrorismo, oltre la possibilità di reinvestire quei soldi per cause sociali, e aiutare un economia sempre più in affanno dal verificarsi della crisi del 2008 e da quella generata dalla pandemia Covid-19. A riguardo, un altro indicatore importante delle risorse sottratte alla criminalità organizzata sono i sequestri: nel 2021 sono state sequestrate, in Europa, 465 tonnellate di cannabis, contro le 213 tonnellate di cocaina sequestrate nello stesso periodo. Questo sottolinea la tendenza sempre più diffusa al consumo di cannabis, la cui età media al consumo è di 17 anni. La legalizzazione alzerebbe questo ultimo dato, e sposterebbe una grande quantità di risorse dalle organizzazioni criminali alla comunità, in un momento dove più che mai ne avrebbe bisogno.
Droga trampolino?
Una delle critiche verso la legalizzazione della cannabis nasce dalla cosiddetta “Teoria del passaggio”, che sostiene che la cannabis sia la sostanza che fa da “trampolino” per il passaggio dalle droghe leggere a quelle pesanti. Questo è assolutamente falso, come emerge leggendo i report emessi annualmente dal Ser.D. (Servizi per le Dipendenze patologiche), che evidenziano una costante interrelazione tra il consumo di alcol e quello di cocaina. L’alcol, inducendo una tolleranza molto maggiore rispetto alle altre sostanze a fronte di un abuso della sotanza, induce molto più facilmente al passaggio alle droghe pesanti (tipicamente la cocaina).
Leggendo la relazione emessa nel 2022, tutti i pazienti che si sono sottoposti al trattamento per la dipendenza da cocaina, presentavano anche quella da alcol, circolo vizioso ormai sempre più diffuso e in rapido aumento anche tra le fasce più giovani della società. È estremamente ipocrita, da parte di qualsiasi istituzione, giustificare la non legalizzazione evidenziando i danni della cannabis mentre l’alcol (legale, e decisamente più dannoso) rimane facilmente accessibile a chiunque. Se l’obiettivo è davvero quello di proteggere le fasce più deboli della popolazione, è necessario introdurre un adeguato sistema di controlli sulla vendita e sull’accesso alle sostanze stupefacenti, senza imboccare la via del proibizionismo, che rende semplicemente di più facile accesso l’uso alle sostanze in questione. Gli anni ‘20 del proibizionismo negli Stati Uniti lo hanno già dimostrato, motivo per cui nessuno azzarderebbe mai l’ipotesi di rendere l’alcol una sostanza illegale, ragionamento che, nel 2024, andrebbe applicato per gli stessi motivi al mercato della cannabis.
Il dibattito italiano
Sembra che solo il nostro paese sia tra gli ultimi indietro nel dibattito sulla legalizzazione, che rimane costantemente ad un punto morto, tra partiti che ne sostengono timidamente la legalizzazione, altri che la condannano a gran voce, e altri che cambiano semplicemente idea a seconda del partito col quale prevedono di coalizzarsi periodicamente in vista delle elezioni.
Come molti altri dibattiti che infiammano la politica italiana (tra cui quelli su aborto ed eutanasia), questo è guidato esclusivamente dalla caccia ai consensi, primo scoglio che bisogna assolutamente superare se si vuole giungere ad una conclusione effettivamente pratica, economica, e vantaggiosa per le istituzioni e la società nel suo complesso. È necessario parlare di più dell’argomento, e che i partiti di sinistra si espongano sul tema in misura molto maggiore di quanto fatto fino ad oggi, perché anche nella nostra penisola si possano superare il bigottismo e l’ignoranza che impediscono l’introduzione di adeguata misure di tutela e regolamentazione a favore dei cittadini stessi e, come già più volte sottolineato nell’articolo, delle fasce più deboli presenti tra questi, rappresentate dai minori, dagli extracomunitari e da chi soffre di patologie (come la depressione), che più facilmente possono cadere vittima di un sistema che condanna la cannabis mentre pubblicizza senza alcuno scrupolo il consumo di alcol, principale vettore di mortali circoli viziosi.
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