Contro l’autonomia differenziata serve il protagonismo delle realtà sociali

Informare, incontrare, ascoltare, coinvolgere, pensare, condividere e costruire, insieme. I verbi dimenticati della democrazia. Una strada faticosa che prevede passaggi da cui si esce diversi rispetto a quando si comincia. Perché lo stare insieme tra tanti e diversi ci cambia, in meglio come ci conferma la biologia. Cooperazione e scambio sono indispensabili alla crescita tanto personale quanto comunitaria. La dialettica positiva di ogni percorso rafforza e genera democrazia quando tutte le voci vengono non solo ascoltate, ma sono in grado di incidere nel cambiamento del senso comune.

Questa è la strada faticosa, quanto indispensabile e affascinante, che ha reso possibile raccogliere in così pochi giorni un numero di firme impensabile sino a qualche mese fa. Sono molte più di mezzo milione quelle raccolte tra banchetti e online per dire Sì alla Repubblica. Partecipazione che genera voglia di partecipazione per rispondere all’attacco portato avanti col progetto eversivo di “autonomia differenziata”: il più feroce e cinico mai visto nella storia della Repubblica. Agito proprio in un momento in cui la partecipazione è ai minimi storici.

Informazione appassionata che genera consapevolezza e ragionamento. Impegno e gratuità che generano solidarietà e generosità nei confronti del bene comune. Lotta per l’interesse generale che rigenera la democrazia, rafforzando il nostro destino comune. Questo l’impegno di reti sociali, movimenti, comitati, sindacati di base, case delle donne, cooperative sociali, spazi informali di mutuo aiuto, presidi antimafia e parrocchie di periferia impegnate in queste settimane ai banchetti.

Unità su obiettivi comuni che rigenerano l’orizzonte politico attraverso le voci, le mani, i bisogni e i sogni di molti. Perché si tratta anche di questo: non ne possiamo più di vivere sapendo che la nostra condizione, già grave, può solo continuare a peggiorare. La politica deve servire a cambiarla la nostra condizione.

Non è destra contro sinistra, né Nord contro Sud. Lo si comprende parlando con decine di migliaia di cittadine e cittadini che si accalcano ai banchetti per firmare, spesso ringraziando gli attivisti e improvvisando assemblee. E non è semplificazione ma complessità. Perché siamo immersi in una crisi sistemica e strutturale che colpisce non solo l’Italia da 14 anni ma l’Europa e il mondo intero, anche da più tempo. Per questo servono i verbi dimenticati della politica e un approccio sistemico.

Il tradimento in questi lunghissimi anni dell’art.3 della Costituzione e dei suoi principi fondamentali di solidarietà e uguaglianza ha prodotto nel Paese disastri, fragilità e abbandoni. E nel momento in cui la Repubblica non è presidiata dalla partecipazione e dall’attivismo dei cittadini, prevalgono interessi particolari e privati che mettono a rischio la stessa democrazia.

È quello che sta avvenendo con la legge 84 imposta dalla Lega Nord. Non solo spacca l’Italiama ride in faccia a chi in questi anni – come i movimenti popolari e sociali – ritiene che la priorità sia sconfiggere le disuguaglianze e garantire la dignità di tutti e tutte come impone la Carta.

L’obiettivo è quello di renderci ancora più poveri, diseguali, fragili e ricattabili. Quando in realtà per uscire dalla crisi, l’unica strada è quella indicata dalla nostra Costituzione. Ed è quella che continuano a proporre centinaia di realtà sociali della Rete dei Numeri Pari che hanno costruito dal basso un’Agenda Sociale con proposte concrete. Le stesse realtà che già dal 17 ottobre del 2019 si erano da subito opposte all’autonomia differenziata voluta dalla Lega nord.

Da un lato chi vuole ulteriormente ignorare diritti, partecipazione e democrazia, cancellando la memoria del Paese per riscrivere la storia. E dall’altro noi tutti e tutte che riteniamo le istituzioni sacre, la Costituzione una conquista di civiltà, la democrazia il campo per allargare la comunità della giustizia, la solidarietà e l’uguaglianza l’unica strada per la libertà.

Un segnale di speranza

La prima sfida della raccolta firme ampiamente vinta è un segnale di speranza. Ma quella più difficile l’abbiamo davanti nei prossimi mesi, quando con ogni probabilità saremo chiamati a votare sul quesito. Senza la partecipazione e il protagonismo delle realtà sociali non sarà possibile riportare al voto la maggioranza dei cittadini e delle cittadine. Perché abbiamo bisogno del contributo e del protagonismo proprio di quelli che sono stati esclusi in questi anni. E da lì che riparte la democrazia. È questo il campo da ricostruire e l’orizzonte da cui ripartire per vincere. Non per noi, ma per tutte e tutti!

Giuseppe De Marzo – coordinatore nazionale della Rete dei Numeri Pari

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