Il comando provinciale della Guardia di Finanza di Torino, sotto la guida del generale Carmine Virno e con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Milano, ha arrestato sei persone accusate di far parte della cellula ‘ndranghetista di Carmagnola, in Piemonte. L’indagine ha svelato legami tra la criminalità organizzata piemontese e le cosche calabresi, in particolare con il clan Bonavota di Sant’Onofrio (Vibo Valentia).
Francesco D’Onofrio, dal terrorismo politico alla ‘ndrangheta
Francesco D’Onofrio (nella foto di apertura), 68 anni, originario di Mileto (Calabria), ma da decenni residente tra Nichelino e Moncalieri nel torinese, ha attraversato più mondi criminali. Negli anni Ottanta, fu condannato per i suoi legami con i Colp – Comunisti Organizzati per la Liberazione del Proletariato, un gruppo terroristico affiliato a Prima Linea. Successivamente, è stato accusato di possedere un arsenale di pistole e kalashnikov e di avere avuto un ruolo nell’omicidio del Procuratore di Torino Bruno Caccia nel 1983, un’accusa poi archiviata dalla Procura Generale di Milano. Negli ultimi decenni, D’Onofrio è diventato uno dei leader della ‘ndrangheta in Piemonte, secondo l’ultima inchiesta condotta dal Gico della Guardia di Finanza e dalla Dda di Torino.
Il ruolo di D’Onofrio nella cellula di Carmagnola
Affiliato alla ‘ndrangheta fin dal 2006, D’Onofrio era legato al clan torinese dei fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea e operava in stretta collaborazione con le famiglie mafiose Arone, Defina e Serratore. La cellula di Carmagnola, di cui era il capo, era in collegamento con la cosca Bonavota di Sant’Onofrio. Durante un periodo di fibrillazione interna dovuto a numerosi arresti, D’Onofrio avrebbe organizzato incontri per rafforzare i ranghi e pianificare le attività della cosca.
Domenico Ceravolo e il controllo del settore edile
Tra gli arrestati figura Domenico Ceravolo, 47 anni, sindacalista della Filca-Cisl sospeso dal suo incarico. Ceravolo è accusato di aver agevolato le imprese vicine al clan nella gestione del settore edile, favorendo l’assunzione di persone legate alle famiglie mafiose. Inoltre, secondo la Dda, avrebbe organizzato la falsa testimonianza resa durante il processo Rinascita Scott del 2023, con l’obiettivo di screditare il collaboratore di giustizia Andrea Mantella.
Le intercettazioni hanno rivelato che la Filca-Cisl era considerata il “sindacato di riferimento” dalla ‘ndrangheta piemontese. Ceravolo avrebbe utilizzato la sua posizione per controllare le iscrizioni dei lavoratori, garantendo un controllo mafioso sul settore.
Antonio Serratore e la latitanza di Pasquale Bonavota
Antonio Serratore, 50 anni, è accusato di aver favorito la latitanza di Pasquale Bonavota, fornendogli documenti falsi e assistendolo durante la sua fuga. Inoltre, Serratore avrebbe concordato con Ceravolo le modalità per rendere false testimonianze in tribunale.
Gli altri membri della cellula di Carmagnola
Rocco Costa e Claudio Russo, originari di Vibo Valentia, sono stati accusati di estorsione e protezione mafiosa nei confronti di imprenditori locali. Giacomo Lo Surdo, considerato affiliato alla ‘ndrangheta dal 2003, è descritto come consigliere di D’Onofrio per le strategie del gruppo criminale.
Le attività criminali della cosca
Oltre al controllo del settore edile, la cellula è accusata di estorsioni, ricettazione e detenzione di armi. Le vittime sono commercianti e imprenditori, dai quali i membri della cosca avrebbero richiesto denaro o beni sotto la minaccia di violenze. In un caso, una vittima sarebbe stata costretta a consegnare gioielli per un valore di 20mila euro come pagamento.
L’operazione ha smantellato una rete mafiosa ben radicata tra Piemonte e Calabria, dimostrando ancora una volta l’ampia infiltrazione della ‘ndrangheta nel tessuto economico e sociale del Nord Italia.
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