Le morti sul lavoro rappresentano una piaga che continua a colpire il cuore della nostra società. Gli incidenti sul lavoro sono una tragedia non solo personale e familiare, ma un fallimento collettivo. Ogni volta che un lavoratore perde la vita, è un dolore che accomuna tutti. Da gennaio 2024 a ottobre 2024, sono quasi 700 i decessi sul lavoro, senza contare gli incidenti più o meno gravi. È un dato altissimo, e noi non possiamo e non dobbiamo abituarci a vedere queste tragedie come semplici numeri. Dietro ogni statistica, dietro ogni cifra, c’è un volto, una storia, una famiglia distrutta.
Le morti sul lavoro ci ricordano crudelmente che, nonostante il progresso tecnologico e le normative in materia di sicurezza, qualcosa nel nostro sistema continua a non funzionare. Non ci sono leggi abbastanza severe. A febbraio 2023 è iniziata una raccolta firme per una proposta di legge popolare «omicidio sul lavoro con gravi e gravissime lesioni». La raccolta si è conclusa a febbraio 2024 e sono state depositate in Parlamento più di 500.000 firme, ma a oggi non si sa più nulla. Io non voglio dire che, se il governo decidesse di attuare questa legge, le morti cesserebbero, ma almeno ci sarebbero più controlli e sicuramente sanzioni più severe.
Questo non è solo un problema di mancata applicazione delle normative, ma è un problema culturale. La cultura della sicurezza, del rispetto per la vita umana, non è ancora radicata a sufficienza nei luoghi di lavoro. Troppo spesso il profitto, la fretta, la negligenza prendono il sopravvento sul rispetto delle regole di sicurezza. È doveroso ricordare che prevenire queste tragedie non è solo un obbligo legale, ma un imperativo morale. Ogni azienda, ogni datore di lavoro, ogni dirigente ha la responsabilità di garantire che i propri lavoratori tornino a casa sani e salvi alla fine della giornata. Il rispetto delle norme di sicurezza non deve essere visto come un costo, ma come un investimento nel benessere delle persone e nella stabilità del tessuto sociale.
Purtroppo, le morti sul lavoro colpiscono più frequentemente le fasce più vulnerabili della popolazione. Spesso i lavoratori precari, quelli con contratti temporanei o i migranti sono i più esposti ai rischi, perché magari non hanno una formazione adeguata o perché si trovano a lavorare in condizioni di insicurezza o sotto la minaccia di perdere il lavoro. Questa situazione è inaccettabile in una società che si definisce giusta e solidale.
Un altro aspetto da considerare è il ruolo delle istituzioni. Gli organi di controllo, come gli ispettori del lavoro, spesso sono in numero insufficiente per coprire l’intero territorio e per effettuare verifiche puntuali e approfondite. Ma non è solo una questione di risorse: è fondamentale che ci sia una collaborazione costante tra istituzioni, sindacati, imprese e lavoratori per creare un sistema di prevenzione efficace.
La formazione è un elemento chiave: non basta insegnare le regole, bisogna costruire una mentalità, una consapevolezza che la sicurezza non è una formalità, ma un pilastro imprescindibile del lavoro stesso. Educare alla sicurezza deve diventare una priorità, non solo all’interno delle aziende, ma già a partire dalle scuole, affinché le nuove generazioni crescano con la consapevolezza dell’importanza della prevenzione.
Ma tutto questo non basta se non c’è un cambiamento radicale nel modo in cui consideriamo il lavoro e la vita delle persone. Dobbiamo smettere di accettare l’idea che la morte possa essere parte del lavoro. Ogni incidente mortale è una sconfitta che non possiamo permetterci di tollerare. La lotta contro le morti sul lavoro non riguarda solo chi è direttamente coinvolto, ma è una battaglia di tutti noi. È una battaglia per una società più giusta, più sicura, più umana.
Non possiamo più rimanere inerti di fronte a questa strage silenziosa. Dobbiamo agire con fermezza, con convinzione e con la consapevolezza che ogni vita persa è una ferita che non si rimargina facilmente.
Robbiano Laura, PRC
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