Dal divano di casa, con il mio PC sulle ginocchia, seguo tanti opinionisti di tutte le idee. Parlo di idee e non di destra, sinistra, su o giù. Penso che sia stata persa da parte di tutti una bussola che, sia pure con qualche contraccolpo, ci indichi una linea.
Da nessuna parte esiste la verità assoluta; bisogna ragionare semplicemente da persone riflessive, propositive e tolleranti, ma con limiti oltre i quali non si deve andare e senza accettare deroghe costituzionali che da tempo vengono sventolate strumentalmente con eccesso di disinvoltura.
Unica bussola nelle nostre mani che ci indica la strada, soprattutto oggi, è la nostra Costituzione Repubblicana e, per sua natura, antifascista. Intendiamoci, errori ne abbiamo commessi tutti in questi ultimi 80 anni postbellici, ma mantenendo forte una linea democratica che ha resistito a provocazioni, manifestazioni revansciste, scontri ideologici, tentativi di colpi di stato, eccessi di supremazie culturali. Il tutto dentro una progressione economica e produttiva che ha dato stabilità, benessere e progresso.
Se esiste oggi una colpa grave, è quella di dimenticare o far finta che in questi decenni non siano successi avvenimenti molto gravi, dove persone innocenti hanno perso la vita per odio di qualcuno.
Tiene campo in questi giorni la manifestazione di Casapound a Bologna, città martire dopo la strage alla stazione del 2 agosto 1980 per conclamata mano fascista. Le balle strumentali che si sono avvicendate prima e dopo la manifestazione sono il simbolo del periodo cupo che stiamo vivendo.
Il Sindaco di Bologna, Matteo Lepore, è stato accusato di decisionismo antidemocratico per avere espresso la sua contrarietà non alla manifestazione, ma al luogo scelto dagli organizzatori. La decisione del sindaco non veniva solo dalle sue convinzioni di opportunità, ma a seguito anche della deliberazione del Comitato per la Sicurezza, che aveva consigliato di autorizzare il corteo di Casapound in località stadio Dall’Ara di Bologna anziché nei pressi della stazione.
Non vietare, ma cambiare luogo: decisione sicuramente più opportuna. Qualsiasi persona di buonsenso avrebbe fatto questo ragionamento senza impedire nulla a nessuno. Invece no. Si è preferito dare corso alla provocazione e fare sfilare le camicie nere con simboli e canti nostalgici che inneggiavano a vendette, sovversioni e bombe a mano. A dare manforte alla provocazione ci ha pensato l’ultima persona che avrebbe dovuto prestarsi: la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che nel suo intervento di campagna elettorale ha, come suo solito, preferito fare il capo di partito piuttosto che la rappresentante delle Istituzioni.
Come capo di partito, la “pescivendola nazionale” ha gridato di avere visto non camicie nere, ma camicie blu dei poliziotti che, facendo il loro dovere, sono stati aggrediti da gruppi dei centri sociali arrivati, come le camicie nere, chissà da dove. La presidente del Consiglio, in perenne campagna elettorale, si dimentica spesso del suo ruolo istituzionale; non passa giorno che, per nascondere i suoi fallimenti, rovescia la medaglia e non vede rigurgiti fascisti, ma solo pericoli comunisti inesistenti, e con Salvini che, per non essere da meno, le fa il controcanto. Se lei dimostra incapacità, la colpa è della sinistra, e non passa giorno che non si appelli a queste noiose quanto improbabili litanie, reiterate con l’aiuto di un consenso popolare che, seppur minoritario, viene indicato con eccessiva enfasi. La mia sensazione è che lor signori si stiano portando avanti con il “lavoro nero” nel colpevole silenzio di troppi. Se la “pescivendola” pensa solo alla propaganda, dimenticando la storia della nostra povera patria, dimenticando i deboli e cercando un penoso accreditamento dei potenti — prima Biden, oggi Elon Musk — mentre in patria elargisce 4 euro mensili di aumento alle pensioni minime, stiamo messi molto, ma molto male.
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