Vorrei che il racconto che vi apprestate a leggere vi rimanesse impresso nel cuore e nella mente. Vorrei che vi aiutasse a non essere indifferenti di fronte a parole, azioni o gesti irrispettosi nei confronti di una donna. Vorrei che vi spingesse a non voltare la testa di fronte a una donna abusata, violentata, picchiata, svuotata di ogni speranza.
Una donna senza volto, senza nome.
Sono al centro di un vortice che mi soffoca, mi destabilizza, mi angoscia. Non so come ci sono finita. Se penso agli inizi, tanti anni fa, LUI era così gentile: i fiori, i cioccolatini, le cene, i progetti, la convivenza… Era tutto ciò che volevo: una casa, un uomo da amare, un futuro insieme.
Poi, all’improvviso, i suoi silenzi astiosi, i suoi sguardi feroci, una tensione che cresce fino a diventare intollerabile.
La pasta troppo cotta, il piatto scagliato contro il muro, un rumore terribile che infrange l’assordante silenzio tra noi. Il primo spintone, la mia incredulità. Il primo schiaffo, il primo pugno, e la mia paura. Supina, con le gambe larghe, il viso tumefatto, il mio corpo invaso dai lividi. Il suo ultimo calcio, la mia umiliazione, la mia sottomissione. «Sei una donna inutile, una buona a nulla. Senza di me non sei niente.»
Mi faccio una doccia per togliermi di dosso l’orrore. LUI è in salotto. Mi raggomitolo nel letto e penso: sono sola. Lo grido dentro di me: sola! Lo sento arrivare. Si inginocchia, chiede perdono, minaccia di uccidersi se lo lascio. È, ancora una volta, l’uomo meraviglioso che ho sposato.
Forse ha ragione lui: io lo provoco. A volte sono così goffa. Per un po’ di tempo tutto va bene, ma poi ritorna quella tensione terribile, che cresce, cresce ed esplode in una violenza inaudita. Tutto ricomincia. È una spirale infinita, senza interruzione, senza rimedio.
Questa è la mia vita: un susseguirsi di attimi di tregua e di ore e ore di angoscia e violenza. Pulisco, lavo, vado al lavoro. Ho imparato a truccarmi per nascondere i segni. Quando sono con le altre persone, sorrido sempre. Quando mi dicono che sono fortunata perché non mi manca niente, annuisco. Nulla deve trasparire all’esterno. Se vedessero il vuoto che ho dentro, ne rimarrebbero sconvolti. E poi arriverebbero le domande: «Perché non lo lasci? Perché non te ne vai? È così semplice, è così facile.»
Loro non capiscono. Ormai sono un guscio vuoto. Non sono nemmeno più un essere umano. Sono una fallita, senza più speranza, senza più sogni.
Come un automa, vago tra le mura domestiche. Dovevano essere le mie migliori amiche, ma sono diventate le mie carceriere. Tutto è in ordine: la tavola è pronta, la pentola sul fuoco, le sue ciabatte al posto giusto.
Click. La porta d’ingresso si apre. LUI è arrivato. Ormai ho una sola certezza nella mia vita: sarò di nuovo libera quando LUI mi avrà uccisa.
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Bellissimo pezzo.
Mauro