Viviamo il presente in questa bolla sospesa nell’aria dove il Covid-19 permea i pensieri e le azioni pubbliche e private. In questa bolla sospesa si vive quasi come se ora, nel presente, non dovessimo progettare un “dopo”. Eppure molto è già successo alla nostra comunità, tanto quanto basta per scoprirci in ritardo rispetto alle scelte per il futuro.
Per esempio è già successo che questo virus ha ulteriormente marcato le differenze tra chi vive nel benessere e chi invece soffre, spostando nel campo delle sofferenze sempre più persone. Ciononostante nella bolla attuale sono in vigore provvedimenti a tutela delle fasce più a rischio, per esempio è stata attivata per un periodo più lungo e per più lavoratori la cassa integrazione, sono stati congelati (ancora per poco, è questione di giorni) molti pagamenti di tasse e imposte, sono stati assicurati i “ristori” a tante categorie imprenditoriali, spesso piccole e già in difficoltà. Quando termineranno gli effetti di questi provvedimenti, termineranno anche le tutele sociali a favore di milioni di italiani che, non per essere facili profeti di sventura, inevitabilmente concorreranno ad ingrossare le fila della sofferenza.
Come detto in premessa, e come confermato sia da autorevoli Istituti di analisi sociale che da associazioni impegnate “sul campo” come Caritas e Banco alimentare, rispetto agli anni scorsi nel 2020 quelle sofferenze sono già aumentate oltre ogni ragionevole previsione. Quello che è accaduto negli ultimi 12 mesi si somma alla situazione in essere da tempo nel nostro Paese dove le politiche per il welfare si sono dimostrate non più adatte ad includere tutti i bisogni di una società che ha mutato la sostanza delle sue caratteristiche, le nostre imprese hanno perso quote di mercato e, più in generale, nel processo di globalizzazione la voracità della nuova finanza ha impoverito una massa indistinta ma enorme di persone.
Ecco quindi la necessità in Italia ora, non dopo, di leggere la realtà per mettere in campo non una ma tante decisioni radicali quante servono ad essere protagonisti del cambiamento. Per queste ragioni mi sono convinto che lo schema adottato dalla politica così com’è non basta, non è sufficiente, è del tutto parziale, inadatto ad affrontare il nuovo tempo.
Il “non basta” dovrebbe essere il mantra ossessionante che accompagna le giornate di chi ha responsabilità sulla vita del prossimo. Tutto è fondamentale ma non basta dire Europa, non basta il Recovery Fund, non basta il Mes, non basta una seria riforma del fisco, non basta ricostruire dalle fondamenta il sistema sanitario pubblico, non basta portare a termine una efficace riforma della giustizia soprattutto quella civile, non basta la riconversione ecologica, non basta investire in ricerca pubblica, non basta ridurre il numero dei parlamentari, non basta modificare la legge elettorale consentendo ai cittadini almeno di scegliere chi li rappresenta in Parlamento, non basta il Federalismo e l’autonomismo, non basta progettare più infrastrutture modernizzando il Paese, non basta investire nella scuola, non basta, non basta, non basta. Ognuno decida il suo “non basta”. Ogni singolo impegno da solo non è abbastanza per affrontare la complessità dei nostri tempi ma uno alla volta, qualcuno insieme ad altri nello stesso momento, comunque tutti presto, dovremmo affrontarli.
Due domande.
La prima: nel contesto attuale, in questa democrazia parlamentare che non può permettersi il ritorno alle urne nel 2021, per l’enormità delle sfide che abbiamo di fronte, con la specifica che non auspico un perimetro più largo dell’attuale maggioranza, bastano le competenze a disposizione di questo Governo?
La seconda: in prospettiva, sul medio e sul lungo periodo, l’attuale PD, questo del 20%, il Partito nato agli albori del secondo millennio su un terreno completamente diverso da quello in cui viviamo, basta ad ospitare e a organizzare i sogni, le speranze, le inquietudini e i bisogni di una società nuova ormai non più affascinata dall’eco del messaggio iniziale?
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