I tentativi di delegittimare, e quindi negare, i diritti di libera scelta delle donne, quando si tratta del nostro corpo e della nostra vita, tornano in forme neanche tanto nascoste.
La furia ideologica che sostiene le posizioni di chi la Legge 194 vorrebbe abolirla si maschera di malcelate buoni intenzioni di protezione della salute della donna ma è tanto violenta quanto ipocrita.
È successo in Consiglio Comunale ad Alessandria con una mozione a firma del Presidente del Consiglio Comunale Emanuele Locci e di un consigliere di Fratelli d’Italia contro le Linee guida del Ministero della salute, che ad agosto ha emanato linee di indirizzo per l’interruzione farmacologica volontaria di gravidanza.
Con questo atto il Ministero, con il parere favorevole della Consulta di Bioetica, estende ai consultori la possibilità per le donne, che scelgono di interrompere la gravidanza attraverso la pillola Ru-486, di ricorrere a tali strutture.
L’impegno per la possibilità del ricorso alla Ru-486, che è pratica di interruzione meno invasiva e non ospedalizzata, ha trovato in queste Linee guida riscontro. Un passo ulteriore verso l’affermazione del pieno diritto di scelta.
I due consiglieri, rilevante il fatto che uno sia Presidente del Consiglio, carica istituzionale e di garanzia, hanno riproposto, sostenendola, la delibera dell’assessore della Regione Piemonte Marrone, anch’egli di Fratelli d’Italia, che non ha deleghe di competenza in materia, che ha proposto un atto per contrastare le Linee guida del Ministro Speranza.
Nella delibera si fa riferimento al divieto di aborto farmacologico nei consultori piemontesi, riservandone il ricorso solo in ambito ospedaliero, si propone, quale altro punto qualificante, di aprire, con soldi pubblici, sportelli gestiti dalle associazioni contrarie alla 194, associazioni di sostegno alla vita, che avrebbero come compito quello di accogliere le donne che decidono di interrompere la gravidanza, di fatto, per dissuaderle a farlo.
La delibera e la mozione di Locci mettono in discussione l’accesso all’aborto farmacologico in regime di day hospital, riservando la scelta ai singoli medici, che possono così decidere di accettare di somministrare la pillola abortiva esclusivamente previo ricovero, seppur non esistano prove scientifiche che confermino la pericolosità del day hospital anche per la donna in condizioni di salute.
I due consiglieri parlano delle donne come di persone poco accorte e poco avvedute. Mascherando il loro pensiero sotto belle parole e buone intenzioni di tutela delle donne, non fanno altro che insultarci.
Tutto questo in contrasto non solo con la Legge ma anche con l’allargamento dei diritti.
Si legge infatti nelle note della Consulta di Bioetica:
“Le nuove Linee guida del ministro Speranza non fanno altro che riconoscere che la RU486 allarga la tutela della riservatezza della donna, e valorizzano quest’aspetto, ben sapendo che la donna è persona avveduta e responsabile che sceglie sulla scorta di propri piani di vita meritevoli di rispetto. La lotta all’aborto si fa non attraverso la limitazione coattiva della libertà della donna…”
Il nodo della questione sta proprio nella volontà di smantellare i diritti che già ci sono. L’ideologia sottesa mira a non sostenere politiche di welfare, le uniche che sono possono essere a sostegno delle donne.
La lotta all’aborto si fa non attraverso la limitazione coattiva della libertà della donna, ma implementando politiche sociali adeguate così che l’ampliamento delle possibilità di scelta non equivalga necessariamente alla solitudine e al dolore.
Se davvero si vuole evitare che l’aborto, che deve rimanere scelta possibile, sia esperienza di dolore si devono sostenere piani di informazione sessuale, seri, nelle scuole, altro che dare soldi pubblici alle associazioni pro- life!
Nella mozione si parla poi di valenza morale del ricorso all’aborto e si fa esplicito riferimento al fatto che la possibilità di accedere ai consultori per ricorrere all’interruzione farmacologica, tramite Ru-486, confini il “gesto” in una sfera privata, giacché, secondo Locci e compagnia a lui simile, la scelta della donna ha rilievo sociale e morale.
Un giudizio di valore che viene dato in merito alla pratica stessa dell’aborto: sostenere che l’aborto sia “un gesto di grande rilevanza emotiva, sociale e morale”, vuol dire implicitamente giudicare l’aborto come una pratica sociale, non più riconducibile a una scelta individuale della donna, così come dovrebbe essere, quanto a un atto con delle ripercussioni per la collettività.
Siamo alla concezione dello Stato etico che sanziona i comportamenti degli individui secondo criteri morali.
Questa mozione ha avuto il sostegno convinto dell’assessora leghista alle pari opportunità, del Sindaco Cuttica e di molte donne del centro- destra anche se due di esse non hanno votato. Miglior figura avrebbe fatto la giunta di Alessandria a non appoggiare questa proposta che, oltretutto, come atto è inutile dal momento che i Comuni non hanno titolo ad intervenire in queste materie,
Questo, però, ci dice quanto impegno e quanta convinzione dovremo ancora mettere nel sostenere i diritti e l’idea di Libertà.
Hanno approvato questo testo, a larga maggioranza, ma fuori dall’aula la loro visione retriva è isolata.
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