I casi di stregoneria nel basso alessandrino

E sont Agnesa che zanzava in chiesa e per lo me zanzà all’inferno son portà

Io son l’Agnesa che danzava in chiesa, e per il mio danzare son finita all’inferno. Carteggio sulla Danza Macabra perduta nell’abbazia di Molo Borbera

Lo so, lo so. Vorreste che vi raccontassi del Medioevo fantastico, di sabba, di perfide streghe che preparano intrugli alla luce della luna piena. Beh, allora non resterete del tutto delusi.

La nostra storia inizia dall’antica abbazia San Pietro di Molo Borbera (frazione di Borghetto Borbera, in provincia di Alessandria). Il primo documento che testimonia l’esistenza dell’abbazia è una bolla papale del 1162, ma nella monografia di Lorenzo Tacchella (L’abbazia benedettina di San Pietro di Molo Borbera nei secoli, Accademia Olubrense, Genova, 1995) si sostiene che il monastero fosse già attivo da più di trecento anni, come riportato dal diploma di Carlo il Grosso del 21 marzo del 880 in cui si dice che da esso dipendeva la chiesa di Pontecurone.

Ciò che a noi interessa, però, è un particolare affresco che sarebbe stato presente nell’abbazia, un raro esempio di Danza Macabra (raro nel nostro territorio, s’intende) fatto poi rimuovere dal Monsignor Maffeo Gambara nel 1593 per il suo contenuto ritenuto troppo scabroso. Ma cos’avrà urtato i sensibili occhi dell’altro prelato? Grazie al volume di Guido Ratti, Piccola storia, grande Storia (Edizioni dell’Orso, 1985) siamo in grado di dirlo:

Nella visita pastorale di Mons. Maffeo Gambara del 1593, effettuata alla Chiesa di San Pietro a Molo Borbera, abbiamo notizia e descrizione di un tema figurativo assai raro in ambiente pedemontano e Lombardo, quello della Danza Macabra, di redazione tardogotica e di eterodossi contenuti, che il solerte presule si premurava di far tosto imbiancare per la scabrosità del soggetto: “Immagini molto profane; la morte sonando la musa dice: Venite a me a ballare, che questa è la mia danza, e va facendo ridere chi la mira; un’altra morte cavalca una vacca e con saette ferisce le imagini di Papi e Cardinali e Principi che le offeriscomo denaro […]. Vi è un Molinaro nudo che cavalca un asino; vi è dipinta una vecchia nuda con la testa in giù con queste lettere: E sont Agnesa che zanzava in chiesa e per lo me zanzà all’inferno son portà. Una figura grande di donna nuda con più sorte d’istrumenti da opera intorno a quella, e con una gran forbice con queste parole in mezzo al petto: Dominica”

Guido Ratti (a cura di), Archivi nell’Alessandrino – Piccola storia, grande storia, Atti del Convegno di Studi Storici e archivistici, Alessandria, 2-3 dicembre 1983 (Edizioni dell’Orso, 1985)

D’altronde, cosa poteva aspettarsi da una Danza Macabra?

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Dettaglio della Danza Macabra (o Trionfo della Morte) di Clusone

È qui che scatta la scintilla a Maria Angela Damilano, scintilla che la porterà a scrivere Danzando con il demonio, il suo nuovo libro per i nostri tipi già disponibile in pre ordine fino all’8 marzo.

La Damilano ricollega l’Agnesa citata nel carteggio a un fatto che aveva già incontrato nelle sue ricerche, ovvero un rogo avvenuto in un luogo non ben precisato tra Serravalle e Stazzano riportato nel 1546 da Dalmazio Sacco di Novi, Castellano di Stazzano dal 1520 al 1524. Su questo evento è giunta a noi anche la deposizione di Giovanni de Romana, residente a Cassano, che raccontò:

«Viddi brusciar altre tre streghe a Stazano, l’una nominata Agnesa, l’altra Melina, l’altra Maria, per diversi delitti, et fu detto all’hora che Agnesa aveva nell’atto della Comunione tolto l’hostia sacrata di bocca e portatala a casa et gettata in un lavezzo di sangue che stava al fuoco, et per molti altri delitti molto enormi»

Ne parla Gian Michele Merloni nel suo testo Splendore e tramonto del potere temporale dei Vescovi di Tortona (Tipografia Pesce, 1993) e Monsignor Sergio Pagano ne Le ragioni temporali di un Vescovo. Maffeo Gambata vescovo di Tortona e il conflitto giurisdizionale con il Senato di Milano (Gangemi, 2000)

Sarà quindi la stessa Agnesa «che zanzava in chiesa» del carteggio perduto? Questo non possiamo dirlo con certezza poiché le informazioni sono troppo frammentate, ma di certo gli elementi a nostra disposizione suggeriscono un collegamento che la Damilano ha abilmente trasformato in un suggestivo racconto.

A proposito di “frammenti storici”, i più rilevanti rispetto ai casi di stregoneria li possiamo trovare scavando tra le testimonianze degli agenti del Vescovo del Vescovado di Tortona nella controversia con il Ducato di Milano del 1546, che ci rivelano come il caso di Agnesa, Melina e Maria non rappresentasse un unicum nelle nostre terre.

Tremate, le streghe son tornate

Tre luoghi: Forotondo, Rocca Grue, Carezzano. Attorno a questi tre paesi, oltre a Stazzano, gravitano i casi di stregoneria locali dei quali siamo a conoscenza.

Partiamo da Forotondo, piccolo comune dell’Alta Val Curone. Se il Cinquecento sembra essere il “momento d’oro” dell’inquisizione nella zona, il caso della donna di Forotondo potrebbe rappresentare la punta dell’iceberg di un fenomeno più esteso. Siamo nel 1439, e su condanna del giudice di Tortona una donna di Forotondo viene giustiziata per stregoneria. Purtroppo di questo evento si hanno pochissime evidenze, racchiuse unicamente nel volume Storia dei Comuni e delle Parrocchie della Diocesi di Tortona (Tipografia San Lorenzo, 2000) di Don Clelio Goggi: «nel 1439 una povera donna di Forotondo in Carbonara veniva condannata a morte forse come strega».

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Uno stralcio del paesaggio di Forotondo

Un altro caso di stregoneria locale riguarda un’anziana di nome Sibilia di Rocca Grue, arsa viva nel 1456 su ordine del podestà di Tortona Jacopo Bovarelli. Il Bovarelli doveva prendere molto seriamente il suo mandato, poiché su questa vicenda scrisse: «mia natura è di perseguitare et inquirere li delinquenti et malfactori» (Luigi Fumi, “L’Inquisizione romana e lo Stato di Milano”, «Archivio Storico Lombardo – giornale della Società Storica Lombarda», serie quarta, fascicolo XXV, 11 marzo 1910, Anno XXXVII). Sempre dalla stessa fonte apprendiamo che Sibilla era stata condannata in quanto «de mala conditione et fama, aver rofianata una giovane di dicto loco sino a condurla a vergogna, di aver attosseccato un suo genero, di aver guastato una putta».

A quanto pare, quindi, la simpatica vecchietta non era una persona raccomandabile, aveva avvelenato suo genero e portato sulla cattiva strada una giovane donna (o forse due? Non è chiaro dall’accusa). Sibilla confessò tutto «senza altro tormento» (altra cosa non chiara: significa quindi che non fu torturata oppure che confessò dopo il primo interrogatorio?) e dichiarò di andare in strigozzo, ovvero di partecipare a sabba, da almeno cinque anni.

Arriviamo così all’ultimo caso che vi presentiamo nell’articolo, per evitare troppi spoiler del volume della nostra Maria Angela. Si tratta del rogo di Carezzano, già oggetto di un altro libro della Damilano, 12 luglio 1520. In questo episodio sono coinvolte quattro donne: Bianca, Maria, Battistina e Parmina, quest’ultima accusata di essere la magistra di una più ampia schola di streghe. Parmina però non confessò mai, resistendo alle torture, anche se ciò non la risparmiò dalle fiamme del rogo, probabilmente avvenuto nel 1522. Bianca, Maria e Battistina invece cedettero alle torture e il 12 luglio 1520 trovarono la morte sul Bric delle Streghe, vicino a Carezzano.

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Il segnavia del Sentiero 145 che porta al Bric delle Streghe

Di particolare interesse è una delle accuse rivolte alle tre donne, che dimostra come spesso le streghe fossero usate per giustificare eventi naturali di grande portata, come grandinate, bufere e conseguenti carestie. Ritroviamo infatti un grande classico dei processi per stregoneria: l’induzione di tempesta. Bianca, Maria e Battistina vennero additate colpevoli di una tempesta verificatasi a Frugarolo, dove avrebbero agito in società con altri uomini e donne.

Con il rogo di Carezzano finisce il nostro viaggio nei casi di stregoneria locali, ma tanti altri frammenti di queste storie sono presenti in Danzando con il demonio. Per salutarvi, vi lasciamo con un estratto del racconto di Agnesa, la strega di Stazzano:

La vera paura era quella cassetta fuori dalla chiesa. Era una cassetta semplice di metallo dove chiunque poteva inserire un foglietto con una denuncia, scritta male o fatta scrivere a qualcuno che sapeva come fare, poche parole, ma chiare e senza orpelli: il nome di una malcapitata a cui si aggiungeva «è una stria». La chiamavano la cassetta dello judicio perché in quella accusa c’era già un giudizio e in qualche modo c’era anche una condanna. Bastava un niente a scatenare la maldicenza, l’invidia, certo, ma anche fatti che gettavano la povera gente nella disperazione. Bastava una tempesta che distruggesse il raccolto, una moria di animali, morti strane, improvvise, e quindi sospette, per mettere in moto la ricerca di un responsabile, o meglio ancora di una responsabile, a cui attribuire la colpa di tutto. E poco importava se l’accusata fosse stata una buona amica, una vicina affettuosa o addirittura una parente, di bocca in bocca la poveretta si trasformava in un mostro, a cui ognuno aggiungeva nuovi delitti scoprendo coincidenze che parevano spiegar tutto.

Maria Angela Damilano, Danzando con il demonio, Edizioni Epoké (2021)

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Edoardo Traverso

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